I bergamaschi Glass Cosmos emergono con stile dal calderone waveing tirato nei 90,s e con questo debutto Disguise Of The Species sembrano volersi smarcare egregiamente dalle infinite influenze – più o meno chiare – che caratterizzano il filone sonoro in cui la formazione posta la sua arte.
Undici tracce per una metafisica espressionista molto British gazer che scorre e si insinua all’ascolto con rispetto e forma, un disco che estende il suo carattere su elettricità espansa e linee malinconiche che ricordano a tratti i classismi atmosferici degli Interpol e di certi Glasvegas più percussivi, ma che già sono in postazione per dare filo da torcere a molte altre band dell’underground.
L’esordio dei Glass Cosmos porta con se una perfetta alchimia di suoni e liriche, un temporale mite e raffinato di poesie e pedaliere che non si esaurisce nel mero giro di un lap stereo ma seguita ad aggiungere suggestioni e cromature grigiastre anche dopo che zittisce la sua energia, tanto da risultare come una dichiarazione appassionata di mutazione continua dove è impossibile non innamorarsene a prima botta.
Quasi a ricomporre un’immaginaria colonna sonora o un urgenza espressiva ad impulso, i nostri – lontani da chi ancora insegue i tempi ed i significati di “indie” – recuperano la fascinazione dello ieri, misurano, estendono, immaginificano un suono totale che convince a spanne, e il senso ossessivo di Milestone, il fogghy che ambienta Shines in it’s own light, il fuoco distorto di Redemption is a pathway to nihilism, O tempora o mores, fino ai vortici Ottantiani di Chrono portano lo status di piccoli diamantini grezzi ma col volto umano.
Già dalla copertina Magrittiana de L’Illusione Collettiva, si fiuta giusto, groove, citazioni colte e frenesie da vendere.
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autore: Max Sannella