Dopo la stasi creativa degli anni Novanta, dopo una serie di esperienze non sempre riuscite (Traveling Wilburys, Mudcrutch e dopo la pubblicazione nel 2009 della monumentale raccolta The Live Anthology, Tom Petty, ha deciso che fosse ora di rimettere insieme gli Heartbreakers per regalarci un nuovo strepitoso album.
Mojo è stato registrato in presa diretta quasi come una session, quasi come un gruppo di amici si ritrovasse per suonare insieme. Come ha dichiarato Petty in un intervista <
La trama di Mojo è una perfetta sintesi di rock-blues che attinge a piene mani alle sue mille varianti dal suono suddista degli Allman Brothers Band al blues acustico di J. J. Cale.
Quindici brani che mettono in mostra ruvide cavalcate chitarristiche e ballate accattivanti. Si comincia con Jefferson Jericho Blues un veloce blues dove prevale un riff ipnotico di chitarra accompagnato dall’armonica di Scott Thurston che ben definisce le coordinate musicali dell’album. Il modo miglior per far capire in quale direzione si viaggerà nei successivi 65 minuti. Con First Flash Of Freedom, una ballata crepuscolare di 7 minuti, ci si dirige in California. Qui echi psichedelici rimpiazzano il blues e si viaggia miscelando Fleetwood Mac e Grateful Dead con gli intrecci lisergici creati dalle tastiere di Benmont Tench che prendono il sovravvento dopo l’introduzione chitarristica di Mike Campbell.
Takin’ My Time è un blues duro dove l’armonica accompagna riff lancinanti di chitarra. Anche Running Man’s Bible è una lunga cavalcata blues (6 minuti), giocata tra voce, chitarra e Hammond.
The Trip To Pirate’s Cove è una lenta ballata disegnata da una chitarra evocativa e il piano su cui la voce di Petty si fa sognante. I Should Have Known It, è invece un robusto rock che ci guida dalle parti dei Led Zeppelin. Un potente riff, che nel finale il solito Campbell fa esplodere in un selvaggio assolo di chitarra. Un brano dal vivo si annuncia come strepitoso. No Reason To Cry è una malinconia ballata ispirata dall’amara separazione tra Petty e la moglie.
In U.S. 41, la fanno da padrone i suoni delle paludi. Un brano che sembra provenire direttamente dalle sessioni di Exile On Main Street degli Stones o da un rilettura dal sapore vintage di J. J. Cale. Let Yourself Go brilla per la melodia ariosa punteggiata dall’organo sixty.
A chiudere l’album altre due ballate strepitosa Something Good Coming, ma soprattutto Good Enough fantastica cavalcata folk-rock psichedelica con una serie di assoli chitarristici supportati dal Hammond in sottofondo.
Mojo ha essenzialmente due punti forti. Il primo è che ci troviamo ad ascoltare un lavoro intenso, diretto e genuino, un viaggio nella grande tradizione musicale americana che Petty conduce, ignorando del tutto l’indirizzo del mercato. Il secondo è che l’album è il prodotto di una band ispiratissima, su tutti spicca Mike Campbell, chitarrista troppo spesso ignorato e sottovalutato, e lui che lascia un’impronta enorme in tutte le tracce. Per me è più che sufficiente.
Autore: Alfredo Amodeo