Jonathan Kane, noto ai più per essere il co-fondatore degli Swans, tra le più apprezzate band del (fu) movimento no-wave newyorkese, si riaffaccia sulle scene con il suo primo disco solista, di cui qui parliamo, a dire il vero, con un tantino di ritardo (la pubblicazione risale a novembre 2005), intitolato “February” (e a questo punto potrei salvarmi in corner dicendo di aver aspettato “il mese più giusto” per recensirlo, ma vi risparmio la battuta), e pubblicato dall’impeccabile Table Of The Elements.
I dodici minuti dell’iniziale “Curl”, fanno ben intendere il mood del disco. E’ blues, viscerale e incandescente. Una cavalcata strumentale ossessiva, catartica, che manda l’ascoltatore in uno stato di trance. Con una struttura che riprende il linguaggio “classico” del minimalismo (il brano si svolge su re-iterazioni di accordi e di pattern ritmici sottoposti a micro-variazioni quasi impercettibili), chitarre che si rincorrono su insospettabili congiunzioni tra New Orleans e l’estetica krauta dei Neu! e il drumming micidiale di Kane che non lascia tregua.
In “Pops” basso e batteria creano affascinanti percorsi sonori ciclici, mentre “Sis” è sostenuta da ritmiche assolutamente travolgenti e chitarre taglienti. “Motherless Child”, ri-arrangiamento di una ballad tradizionale, è costruita attorno ad una chitarra acustica, con dei crescendo davvero emozionanti.
In conclusione, “Guitar Trio” di Rhys Chatman, nome tra i più interessanti dell’avanguardia contemporanea, con il quale Kane ha anche collaborato, viene rivisto in chiave hard-blues. Ai riff cupi di Kane si sovrappongono le eleganti svisature della sei corde di Igor Cubrilovic, e improvvisazioni percussive. Ipnosi pura.
Alla potenza sonora spesso non sembra corrispondere un altrettanto efficace lavoro sulla struttura dei brani: Kane pare aver un tantino tralasciato l’aspetto del songwriting, a mio avviso, prediligendo una formula di “flusso” che potrebbe risultare indigesta a molti. Disco interessante, in ogni caso.
Autore: Daniele Lama