Gli Unnatural Helpers di Seattle tornano con il loro terzo disco in carriera dopo il precedente apprezzato Cracked Love & other Drugs (2010), ed ecco serviti 13 brani in 30 minuti di garage punk lo-fi molto istintivo suonato nella formazione a quattro capitanata da Dean Whitmore.
Il caotico entusiasmo degli Unnatural Helpers è contagioso, e piace anche il loro profilo basso, che ricorda molto quello di alcuni gruppi grunge minori dell’inizio degli anni 90, o loro contemporanei del trash rock’n’roll come Lovvers, King Tuff, K-Holes, Happy Birthday, Pissed Jeans, Oh! Sees, No Age o il compianto Jay Reatard.
Geneticamente incapaci di scrivere brani di grande appeal, gli UH hanno tuttavia una certa vena pop, e la struttura dei loro brani è pressochè sempre identica: quasi sempre – ad esempio in ‘Stiff Wind‘, ‘Toil‘ e ‘Trust it Hurts‘ – c’è un intro d’impatto noise punk carico di feedback che lascia poi spazio alle sgangherate parti cantate, dal tono alticcio e garage, per poi concludere a rotta di collo con le chitarre elettriche fuori controllo.
‘Medication‘ è il loro singolo e fa eccezione; brano d’apertura di Land Grab, è accompagnato da un videoclip molto lo-fi, college oriented, in cui si vede anche la grande autoironia del quartetto; ‘Julie Jewel‘ invece è il brano conclusivo, che dura quasi 10 minuti e conquisterà immediatamente i fans dei Mudhoney, con tra l’altro, nel fracasso totale dell’ultima parte, un sax diciamo così stoogesiano.
‘Hate your Teachers‘ poi è il brano più punk del disco, in puro stile Black Flag: antagonista e provocatorio da ogni punto di vista, non ultimo il tono spavaldo con cui è urlato.
Land Grab è dunque senza compromessi per amanti di certa musica ruvida, tra euforia e rabbia, suoni sgraziati e zero vocazione diciamo così mentale. Non un disco memorabile, ma rassicurante per chi segue il garage punk americano sullo stato di salute di questo tipo di musica.
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autore: Fausto Turi