Giunto al suo quarto lavoro, dopo l’esordio nel 2013 con Nostalgic 64, seguito da Imperial e 32 Zel/Planet Shrooms, Denzel Curry tenta una sorta di concept album, concepito in tre atti, Light, Grey e Dark, con i pezzi che man mano si fanno più cupi, i beat verso la fine più pesanti, i testi più pessimisti.
La differenza che Denzel Curry marca con questo disco rispetto a tanto altro rap proveniente dagli Stati Uniti è che qui c’è musica, c’è del lavoro. Lo si sente subito dagli arrangiamenti rifiniti di Taboo, il pezzo iniziale, meno certo in Black Baloons, dove il rappato lascia spazio a ritornelli da hip hop da discoteca, ma per esempio in Sumo c’è un riff iniziale e un’energia che rende questo rap diverso da tanta roba che si sente in giro, e in Cash Maniac c’è tanta tastiera e synth, anche se il beat e l’andamento sono quelli classicissimi.
E tuttavia, Denzel, classe 1995, ha appena 23 anni e sembra che le cose le sappia fare, o comunque che si circondi di produttori e collaboratori che sanno come arricchire il francamente stereotipato procedere del rap con invenzioni di ogni tipo. In questo disco le collaborazioni si sprecano: Twelve’len, GoldLink, Nyjeria, Zillakami, JPGMAFIA, il tutto per dare una sonorità al disco che non lo appiattisca nelle solite derive testuali.
Insomma, la cosa interessante e curiosa di questo disco è che la parola parlata, il tratto tipico del rap, sembra non prevalere: ce n’è tanta, ovviamente, come in Super Sayan Superman, ma oltre al fatto che Curry sa variare anche i modi di rappare, ogni sua incursione parolaia è sempre accompagnata da ricerca musicale. Il pezzo per esempio che chiude la sezione grigia, Clout Cobain, è raffinato dal punto di vista musicale, beninteso che qui per musica si intende sempre e comunque e soltanto il lavoro di sintetizzatori, loop, effetti sonori. Di strumenti non v’è traccia, ma questo fa parte del genere, che Denzel Curry prova a rinnovare da dentro i suoi schemi, tutto sommato riuscendo bene nell’impresa. Non è un disco che rimane nella memoria dell’ascoltatore, nemmeno di quello patito del genere, ma per gli amanti è sicuramente ricco di sorprese e spunti interessanti.
Soprattutto si salva da quello stantio sapore di scontato che si sente in tanti lavori rap, accompagnati da un’iconografia video altrettanto scontata e ritrita, che Curry riesce a dribblare con autorevolezza.
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autore: Francesco Postiglione