“L’ultima casa accogliente” è il decimo album della band toscana. In vent’anni di carriera il successo è andato crescendo costantemente e questo nuovo lavoro sembra una transizione verso lidi pop-rock più rassicuranti soprattutto per quanto riguarda il sound, del resto già nel precedente “Il fuoco in una strada” avevano intrapreso questa strada verso la “morbidezza” e assenza di verve rock aggressiva. Sembra, infatti, che gli Zen Circus non abbiano più l’esigenza di graffiare.
In questo lavoro, più che nei lavori precedenti, i testi di Appino sono esclusivamente concentrati sulle proprie angosce con flussi di coscienza nei quali vengono mescolati personaggi, dinamiche familiari, situazioni relazionali e paure che purtroppo risultano troppo spesso confusi.
Il brano migliore è “Non” sia per il crescendo che per il testo lineare ed è l’unico dal piglio puramente rock. Brano che fa da contraltare è “2050” che lascia molto perplessi. In mezzo molte ballate più o meno sufficienti, con diversi riferimenti al padre, che oscillano tra il pop-rock enfatico di “Catrame” e l’isterica “Ciao sono io” nella quale ci dice quanto “il padre ha voglia di vivere e non più di morire”. Un altro elemento che qualifica questo disco, e che compensa la confusione, è l’esistenzialismo che traspare in tutti i nove brani, un aspetto che impedisce al gruppo di scrivere canzoni più fruibili, per certi versi spensierate, come “Il mondo come lo vorrei”; invece di insistere a descrivere le angosce suscitate dalla famiglia dell’autore <<dove il fumo che resta nei polmoni è la metafora dei tarli che si porta dentro da quando era bambino>>. Apprezzabile è la title-track che non è altro un pop i cui cambi di registro stilistico denotano un ottimo lavoro svolto in fase di arrangiamenti. Nel complesso questo è un lavoro che speriamo porti nuovamente verso un rock graffiante oppure potrebbe avviare “la morte del cigno dell’indie italico”.
https://www.facebook.com/thezencircus/
https://www.zencircus.it/
autore: Vittorio Lannutti