Malgrado il bresciano Boris Savoldelli, apprezzato anche negli USA, si esibisca spesso con un quartetto, qui realizza un progetto diverso. Sovraincidendo strati su strati della propria voce, tessendo con alcune di queste linee vocali le ritmiche, nello stile nero dello “scat”, su varie tonalità, e poi cantandoci sopra i suoi testi in italiano ed inglese, Boris realizza un lavoro pregevolissimo, a tratti al limite del geniale, e se ‘Insanology’ può essere considerato anche un lavoro di sperimentazione, beh, io credo sia prima di tutto un bel disco pop. Niente strumenti, dunque, se non la chitarra ospite di Marc Ribot in due sole tracce, e per il resto solo e soltanto voci su voci sovraincise e/o mandate in loop, senza che restino buchi o spazi vuoti, ed è un piccolo miracolo riuscito, perché un disco tutto vocale che non stanchi, forse neanche i Platters e gli altri attrezzati gruppi doo-wop neri degli anni 50/60 lo hanno mai rischiato. Forse all’epoca era più difficile, ma il pedale del delay, oggi, collegato ad un microfono, con le battute vocali mandate in loop, può aiutare molto, se uno è bravo a cantare come Savoldelli, che riesce a coprire, con le corde vocali, tutte le tonalità che gli servono, dalle più basse al falsetto. Molto doo-wop, ma anche arie mediterranee, attacchi da crooner anni 50, un paio di brani in stile gregoriano, ma soprattutto modernità ed originalità convertite da strutture tipiche dell’elettronica; una cover – non riuscita granchè, per la verità – di ‘Crosstown Traffic’ di Jimi Hendrix, ed una incantevole, mozzafiato ‘Bluechild’, che dovete ascoltare assolutamente, perché commuove anche le pietre. Coraggiosa anche la scelta di cantare molto in italiano, malgrado l’album ed i concerti autunnali si rivolgeranno anche al mercato americano. Ma cento Neri per Caso, non fanno un Boris Savoldelli.
Autore: Fausto Turi