Un disco d’altri tempi e quindi senza tempo “Lunar Garden” dei Possum, pubblicato lo scorso 2 luglio attraverso l’etichetta Idèe Fixe Records. Un viaggio netto tra il rock psichedelico, con aperture verso il jazz/fusion, il rock progressive (di Canterbury) e l’underground.
Ricordo quando da ragazzo iniziai ad ascoltare i dischi di Nick Saloman con i The Bevis Frond; quel senso di sotterraneo che pervadeva ogni solco, misto al gusto retrò di un mondo andato, ma sempre presente, dentro di me, come ancestrale archetipo, mi rasserenava e mi trasmetteva “good vibrations”.
Discorso molto simile per “Lunar Garden”, in cui i Possum dimostrano di aver assimilato, con personalità, la lezione del passato.
Apre il disco la cavalcata di “Clarified Budder”, prima che l’incedere si faccia moderato in “Gala at the Universe City”, in cui i fraseggi di chitarra, con echi di jazz lisergico, segnano sentieri “canterburiani” che si sublimano in “Heywood Floyd”, notturna e morbida, da “Hatfield and the North” & Co.
“Guest of the Moon”, con il suo riff e il cambio di tempo, porta l’ascoltatore tra i b-side di culto dei primi anni settanta. “Leyline Riders” è ponte verso la lisergica “ Moonjuice”, preludio alla dicotomia di “Dance of the Eclipse” che rende la musica, al contempo, didascalica (nella prima parte) e sognate (nella seconda).
Chiude il disco il pezzo eponimo “Lunar Gardens”, ballata acida, con cui i Possum dichiarano ufficialmente il loro amore verso i grandi maestri “di genere” del passato.
autore: Marco Sica