Un gorgo buio di hardcore e noise per basso, batteria e voce. Un disco che atterrisce, carico di misantropia, pessimismo e tensione a tratti poco sopportabili, angoscianti. La produzione di questo loro secondo album – il primo, ‘Find the Sun’, uscì nel 2004 – è affidata a Steve Albini, e si sente: infatti i tre componenti dei Bear Claw, di Chicago – che sono Scott Picco, Rich Fessler, e Rob Raspolich – per loro dichiarazione sono, nel suono, profondamente ispirati dai lavori degli Shellac di fine anni 80, mentre nelle composizioni non si fermano lì, spaziando da disturbanti aggressioni Jesus Lizard, e giungendo sino ai confini dell’industrial dei Neptune, dei liquidi e bui incisi drone metal di Ufomammut, persino all’emocore di Paper Chase ed Emmure, in qualche fraseggio vocale, e nei passaggi più placidi. Un disco notevole a prescindere, ma anche un poco indigesto, dobbiamo avvertirvi, che lascia un sottile malessere, per chi non è preparato all’esperienza della tensione claustrofobica; per coloro che apprezzano il rock’n’roll robusto e decostruito, invece, disco da avere; del resto, si tratta di una formazione che fa una scelta coraggiosa e caratteristica, con l’utilizzo di due bassi elettrici e batteria. Il disco contiene 11 canzoni, ed è distribuito in Italia da 5ive Roses.
Ecco la tracklist: 1. Slow Speed: Deep Owls, 2. Short But Sweet, 3. Distant Apology, 4. Stubborn Agenda, 5. Slippage, 6. By Popular Demand, 7. Ask And You Shall Receive, 8. Point A To Point…, 9. Embrace, 10. Fragile End, 11. Rudimentary Understanding.
Autore: Fausto Turi