Potremmo stare ore a parlare di quanto il rock italiano abbia bisogno di innovazione e di quanto invece “è ispirato a…” o “deve a…” se non proprio “è tale e quale a…”. Massimo rispetto per dei musicisti che hanno una loro storia e ore di nottate on the road sulle spalle, ma non si riesce a capire perché a volte le influenze siano un fardello così pesante da non riuscire a liberarsene. È un po’ che ho questo album sotto mano e lo ascolto e lo riascolto, perché c’è qualcosa che non va. Ci sono cose che, come già ho letto altrove, ti rimangono in testa, e penso a “Robot”, la canzone che apre “Venti Rose Porpora”, l’album che raccoglie vecchi pezzi e inediti del gruppo veronese. Belli sono i testi e la voce di Tedeschi (anche bassista), ottimi gli altri componenti della band (Matteo Micheloni, batteria; Alessio Comerlati e Gabriele Giuliani alle chitarre elettriche e acustiche), ma c’è qualcosa che non va, mi ripeto, e la risposta è che semplicemente sa di già fatto. Il noise rock melodico (con un pizzico di pop che non guasta mai) che li caratterizza sa di già fatto. Ci sono, come il gruppo ammette in cartellina stampa, le influenze di CSI e Melene Kuntz, ma difficilmente si esce dai confini che questi gruppi hanno tracciato già qualche anno fa (troppi ormai). Ma forse si chiede troppo. Dopo tutto, il postmoderno insegna che tutto è stato fatto no? E allora limitiamoci a questo esordio, che in sé, ripeto, non è affatto male.
Fa effetto il canto in controtempo di “Libera”, e colpiscono le frenate che “Intorno ad ogni cosa” o “Vivian” fanno al rispetto alle chitarre tirate di “La pianura” ad esempio. Noise rock, che comunque deve far fronte a testi delicati e intimistici (“La commedia del cuore infranto”, “Confidenziale” “Mary esclusa”).
Cose ti rimangono e cose che passano sulla pelle senza lasciare traccia. I testi, in particolare, rimangono e ti colpiscono. Molte melodie viceversa le bypassi, salti la traccia alla ricerca di qualcosa che troverai solo in parte. Ma a noi le parole piacciono, ce le teniamo care e a quelle ci aggrappiamo.
Autore: Francesco Raiola