Nell’ascoltare i San Fermin giunge all’orecchio il calore di un fraseggio collettivo che cela private traiettorie e conduce ad una febbricitante Brooklyn coniugata su scramble jam. A uno come Ellis-Ludwig Leone, che dopo essersi laureato a Yale provvede a perfezionarsi in bottega da Nico Muhly, l’idea di dar vita a questo progetto-ensemble appare in questi anni bui lo sfogo ad un forte senso d’indagine. C’è molta “scuola” nei composti delle tracce: un lavoro come Lament for V.G. potrebbe essere nato rielaborando il Curlew river di Britten o la settima di Sibelius, la stesura è posta in chiave d’aria per rendere il pop meno dozzinale – sorta di Pet Sounds rieditato – e intrecciare gli intensivi dei duetti coi contrametrici della chitarra (Sonsick).
Forse sono le suite di At night, True love, In waiting e True love, asleep che reggono l’accollatura, calmierando l’alea col pianismo di At sea e creando fascinose distanze? Dove tutto sembra chiudersi in chamber, brillamenti solari aprono su sequenze d’impasto: c’è lo spettrale klezmer da consolle di The count che cigola à la Partch e flirta à la Nina Kraviz, c’è l’RnB à la Spaniels di Oh darling e la weird di Reinassence! tolta ai National, c’è un ripieno di fiddle in Casanova e Methuselah.
Leone ha dichiarato a Policymic che dopo gli studi seri avrebbe buttato gli spartiti contro un muro, e se il coraggio non è sempre da confondere con la grazia, c’è di che avere fiducia. Questo debutto, filosoficamente zappiano, consta di parecchi brani, tre/quattro filoni musicali ornanti un secolo, molta presenza scenica e un’invidiabile capacità compositiva; prende spunto da Fiesta di Hamingway, i brani sono una sorta di abboccamento fra una voce maschile e una femminile. Certo non sarà la traslitterazione del rapporto tra Jake Burnes e lady Ashley con Pamplona a far da sfondo, ma l’intento, se pur non proprio riuscito, è apprezzabile.
Come si può notare da Brooklyn siam partiti e più o meno sempre a New York siam tornati, e se pur memore di certe gabbie indie (Dirty Projectors in primis) l’occhio stentoreo di Leone mostra di saper passare al setaccio molta contemporaneità. Al giorno d’oggi chiedere di più significherebbe chiedere troppo.
autore: Christian Panzano