Un uomo ed una donna, due volti dipinti, altissima capacità scenica, teatralità ed ispirazione.
Ecco gli inconsueti Dresden Dolls, un magnetic duo, nel quale si mescolano la delicatezza pianistica di Amanda e l’ irruente concitazione di Brian alla batteria.
Ecco la descrizione sintetica, ma straordinariamente esauriente dell’entità Dresden. Piano e batteria, minimale organizzazione per un esordio musicale con i fiocchi; dimostrazione concreta che talvolta il numero perfetto, simbolicamente parlando, non è affatto il numero tre. Da Boston, Massachussets, spero di non esser rimandato in geografia a stelle e strisce, arriva il debut album dei Dresden Dolls, anche se nella scena locale, le due bambole di Dresda sono già ben conosciute e stimate; un duo come dicevamo in precedenza, capace di fondere l’ affascinante innocenza, che solo la visione di una bambola può regalare ad un violento ed imprevedibile bombardamento sonoro. Per capire realmente l’ approccio musicale che i due mimi parlanti hanno, è necessario fare un passo indietro. Contrariamente a chi ritiene la musica “rock”, un fenomeno nazional popolare qualunque sia la sua estrazione, Amanda e Brian contrappongono una concreta impalcatura colta. Si rifanno a Brecht, tedesco e marxista doc, creatore di quel teatro epico, capace di fondere in sé sociale e politico, promulgatore ed inventore di quell’ “effetto alienazione” in grado di non rilegare sentimento e compartecipazione unicamente all’ evento contingente, ma bensì capace di estendere allo spettatore la percezione naturale del palco, la compartecipazione emotiva non solo tra le mura polverose del teatro, ma all’intera realtà in cui lo stesso si trova sprofondato.
Ebbene da queste breve divagazione cultural teatrale, partono i Dresden.
La loro opera non rappresenta altro che una rilettura in chiave vagamente ironica dell’ inciso brechtiano “Abbiamo bisogno di un teatro[…] che sviluppi ed incoraggi quei pensieri che possono trasformare il periodo stesso nel quale viviamo”.
Ironia, passione ed originalità, questi sembrano esser le caratteristiche fondamentali di Amanda e Brian, l’ esatto pareggio qualitativo tra elementi tra loro innegabilmente complementari.
Tutto viene sviluppato lungo un virtuale percorso narrativo in 12 tappe, nelle quali si mescolano la violenta tragicità di Truce o la drammatica, ma stupenda contrapposizione narrativa di Good Day.
Irriverenti, sfacciatamente irriverenti, ma capaci al contempo di far riflettere con un brano quale Coin-Operated Boy o commuovere con le dolci note sussurrate dal piano di Half Jack.
A, come Aggressivi (Anachronism), D come Dolci (Half Jack), C come Commuoventi (Good Day), potrei continuare in questa letterale elencazione, ma una cosa resta ancora da raccontare, ovvero il pathos che sembra percorrere nella sua interezza questo disco, quel pathos in crescendo, quel pathos in grado di montare all’ avanzare musical narrativo delle singole tracce, quel sentimento di naturale compartecipazione, dal quale non si è in grado di prescindere e dal quale si viene irrimediabilmente travolti.
Un album vero, un album che trasuda emozioni in ogni sua nota, in ogni sua singola sfumatura, un album eccezionale, non una prova seminale di un gruppo nato all’ ombra delle mode, ma un album cantato, vissuto e sudato da due anime sensibili.
Autore: Thomas Scotti