Con Atomic, uscito dal 1 aprile per Rock Action, i Mogwai realizzano la loro terza colonna sonora, dopo Les Revenants e Zidane A 21 Century Portrait. Anche stavolta si tratta di commentare musicalmente un documentario: il disco, disponibile in formato doppio LP e digitale, è infatti composto da rielaborazioni della musica registrata per la colonna sonora di Storyville – Atomic: Living in Dread and Promise, documentario BBC diretto da Mark Cousins, e lanciato nell’estate 2015 per ricordare i 70 anni dalla tragedia di Hiroshima.
Di certo, delle tre questa è la colonna sonora più avvincente come sfida per i Mogwai: si trattava infatti di accompagnare uno studio che non è solo sulla tragedia delle morti, ma anche sulle meraviglie del mondo sub-atomico e sui progressi che la scienza ha fatto grazie alla scoperta di questo mondo.
«Costituito interamente da immagini di archivio, il documentario è un caleidoscopio impressionistico degli orrori del nucleare – marce di protesta, Guerra Fredda, Chernobyl e Fukushima – ma anche della bellezza sublime del mondo atomico, e di come radiografie e scansioni MRI hanno migliorato le nostre vite», dichiara il regista, «e i Mogwai hanno incapsulato l’incubo atomico ma anche le sue qualità oniriche». Dal canto suo Stuart Braithwaite ha confermato che la sfida è stata tra le più interessanti, per un documentario il cui argomento non poteva che affascinare e catturare il mondo già fantascientifico della musica della band scozzese, da tempo ormai regina indiscussa del post-rock.
Bisognava perciò rinunciare al loro stile più proprio e maturo, quello delle chitarre frizzanti energia e melodia, e lasciare spazio all’elettronica, a effetti soffusi, a note di pianoforte (come in Ether, pezzo senza gravità con cui inizia l’album), o lasciare che la musica invece di farla da padrona si limitasse a commentare, come in U-235, SCRAM o Pripyat, che non sono vere e proprie canzoni ma soltanto commenti musicali, completamente costruiti al computer. La rinuncia alle chitarre, e al sound epico e immaginifico che ha reso i Mogwai celebri in tutto il mondo, di sicuro non rende Atomic l’album più bello dei tanti realizzati. Dei Mogwai veri e propri si potrà apprezzare la seconda parte di Ether, la splendida Bitterness Centrifuge, o Weak Force, pezzo fortemente evocativo che pur non introducendo chitarre riesce ad avere una sua solennità, che regge bene il commento del mistero profondo della forza omonima che tiene i legami nucleari. E’ invece nello stile Mogwai, ma piuttosto debole e lenta, Are You a Dancer? che non riesce a emozionare, mentre poco più che un riempitivo è Little Boy.
L’album si conclude, angosciosamente, con Tzar, e con l’angosciante solo di pianoforte Fat-Man, che descrivono bene (soprattutto Fat-Man) gli immensi interrogativi scientifici e morali tuttora aperti dalla esplorazione della dimensione atomica.
Per quanto presi dallo sforzo compositivo, in partciolare nei pezzi più lunghi e diffusi, tuttavia i Mogwai non riescono a confezionare con Atomic, pur pieno di buone idee, un vero e proprio album (meno che mai un loro vero album). Peccato, perché nessuno come loro poteva forse meglio riuscire a descrivere con la sola potenza della musica l’energia incommensurabile e impossibile da imbrigliare dell’atomo e delle sue forze oscure.
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autore: Francesco Postiglione