Un’occhiata sbrigativa ai Deerhoof li ritraeva come dei fratellini minori dei Blonde Redhead sulla costa pacifica: giapponesina alla voce in mezzo a una band di maschietti, sonorità spigolose ma capaci di evocare lo spettro di forti tensioni interiori. Come dare torto a una simile prospettiva? Ma si tratta, e la premessa è dalla nostra, di una fotografia decisamente superficiale. Certo, le somiglianze non tardano a emergere, visto anche come Kazu i fratelli Pace abbiano saputo ritagliarsi negli anni una dimensione artistica abbastanza esclusiva – tale da rendere facilmente identificabili eventuali musicisti “sospettati” di ispirarsi a loro. Più prepotentemente, però, emergono anche le differenze, che rendono peraltro inadeguata un’analisi “in parallelo” così come impostata. Un po’ di autonomia concettuale è anche dovuta a una band dalla carriera ormai decennale e con almeno (le prime releases si perdono nella nebbia della “unavailability”) 5 album alle spalle.
La title-opening-track, con quella fulminea e aggressiva spirale chitarristica, suona come il buon vecchio Fripp a zonzo nella “hip” Frisco (là da dove il quartetto proviene), epperò c’è da aspettare poco perché l’elettricità si attenuti nella melodia e nelle cantilene vocali di Satomi. ‘Giga Dance’ introduce un altro elemento-cardine del Deerhoof-sound, ossia quelle tastiere che, tanto a est quanto a ovest, provano a disegnare, con un occhio a un quarto di secolo prima, il rock-sound di questi primi 10 anni del 2000. Anche qui è forte la ricerca di un contrasto piano-forte, chiaro-scuro, melodia-rumore in direzione post/new-wave (shoegazer, aria).
‘Desaparecere’ (e più avanti ‘Dream Wanderer’s Tune’) assesta su toni minimali le coordinate sonore di “Milk Man”, ma è un’episodio, ferma restando, tuttavia, la ricerca mai ossessiva e forzata di distonie e suoni “difficili” da parte dei nostri. Che non mancano, pur in tutta questa lungimiranza stilistica, di vampate rock: ‘Rainbow Silhouette of the Milky Rain’, vaga somiglianza con ‘Silver Rocket’ (devo dirvi di chi?), è quanto appena esposto. Il breve interludio ‘Dog on the Sidewalk’ ci ricorda che siamo nella città di Tigerbeat6 e di altri poco sani di mente per cui gli smanettamenti domestici di casio riscuotono più successo di quanto la “sunny” California dovrebbe offrire, mentre ‘C’ è ciò con cui i Deerhoof rischiano di andare alla sbarra su accusa dei colleghi di cui sopra.
Some fun? Anche questo con ‘Milking’, in cui Satomi trova anche il resto del gruppo dalla sua parte con un ritmo elastico e una melodia “yo-yo” cui, a sprazzi, non mancano di fare da contraltare le “consuete” scariche di rumore chitarra-tastiera. E il divertimento si fa ancor più bizzarro – e però, cacchio, riuscito – in ‘Song of Sorn’, in cui la stasi iniziale è solo il fantasma di una scorribanda circense, prima, e di un gustoso bubblegum-rock poi, che senza soluzione di continuità sfocia nelle repentine accelerazioni chitarristiche della strumentale ‘That Big Orange Sun Run Over Speed’.
‘New Sneakers’ chiude in maniera “solenne”, quasi da cerimoniale (come se i Deerhoof avessero degli “arretrati di contegno” da recuperare…) i 40 minuti (macchè, anche meno) di un album che, senza i soliti pregiudizi di mezzo, è molto più accessibile di quanto anche questa recensione non dica. Guardateli in faccia, per un attimo, e vedrete brillare il malizioso ed educato sorriso del pop…
Autore: Bob Villani