Quattro giovani californiani di Seattle, tre ragazze ed un ragazzo, dai vestiti fluorescenti tipo la copertina qui sù e dai capelli pure, svampiti che di più non si può, musicalmente nel giro del power pop e del bubblegum, non possono che fare simpatia; in questo loro secondo disco [qui ascolta l’esordio uscito nel 2010 per la Don’t Stop Believin’ rec. intitolato Shame Spiral: http://tacocat.bandcamp.com/album/shame-spiral] infilano senza strafare 13 canzoni molto piacevoli, solari, tutte elettriche, chitarristiche, sbarazzine, con talvolta dei coretti semplici ed una batteria precisa e vigorosa tipo Donnas, Tina & the Total Babes, Miss Chain & the Broken Heels e quasi sempre fanno pieno centro, come accade nei singoli intitolati ‘Hey Girl‘ e ‘Crimson Wave‘, nella trascinante ‘Bridge to Hawaii‘, vetta del lavoro, dal suono abbastanza garage punk, e nella magnetica cover di ‘Alien Girl‘ dei Cribs (qui omaggiamo l’originale del 1994 della band di Lisa Jackson and Jonn Lunsford http://thecrabsanacortes.bandcamp.com/track/alien-girl ).
I Tacocat nei brani variano le atmosfere misurandosi con soluzioni relativamente disparate e spingendosi fino ai duri suoni riot grrrls come accade in ‘Pocket full of Primrose‘, nello strano grunge chicano ‘Psychedelic Quinceañera‘ ed in ‘Party Trap‘, che sanno di L7 poco convinte: frequenze, queste, su cui le ragazze non sono perfettamente sintonizzate, in effetti; la loro natura invece è la fun music veloce, entusiasta e con melodia ad alto volume, tipicamente in ‘F.U. #8‘, o in ‘Snow Day‘. Da incoraggiare il canto a più voci, non ancora sviluppato al meglio, mentre carini gli argomenti dei brani, dal surreale più improbabile al quotidiano stretto, tenero e sincero (in ‘You never Came Back’).
Da notare che il nome della band è un palindromo, e dunque può esser letto al contrario ed è uguale; i Tacocat si stanno ammazzando di live per promuovere il disco, in questi mesi, e chissà che non sbarchino anche in Europa, prossimamente.
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autore: Fausto Turi