Il mercato discografico ha molte ramificazioni. Il filo conduttore di tutto è il denaro, il ricavo. Ascolti dischi artefatti, costruiti, fin dalla prima battuta, solo per colpire una cerchia di utenti, giusto per avere la certezza del guadagno. Tutto ciò coinvolge in modo deciso l’ artista che può sottostare a queste regole o magari fregarsene e dare sfogo a ciò che più gli piace o gli riesce meglio. Ovviamente ponderando tutto quello, che una decisione, in un senso o nell’ altro può portare. Si da la precedenza all’ istinto, ma non sempre il risultato è ottimale. Inji, il disco in questione di La Priest, testimonia una scelta coraggiosa di portare avanti idee, anche buone ed interessanti, ma che forse, andavano un attimo lavorate con più attenzione. La miscela tra dance e psicadelia crea intrighi piacevoli, con spunti anche discreti, ma che lasciano di stucco chi ascolta costruendo vie di mezzo in quantità. Purtroppo è di un disco “non finito”, lasciato a metà, con degli episodi che hanno le sembianze di stacchetti pubblicitari e niente più. Credo sia un vero peccato perchè un album può davvero essere un modo per dire ciò che si vuole e a chi si vuole. Proprio per questo vale la pena soffermarsi di più sull’ intero lavoro per non incorrere in piccoli/grandi flop.
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autore: Marco Bicchierini