E siamo già a BC007, ossia settima uscita per un’etichetta che, appena sentita nominare, non sembrava dover risolvere i destini dell’italica discografia indipendente. Invece, a distanza di ormai un anno dall’ingresso in questo novero, ci ritroviamo nelle condizioni di aspettarci dei buoni esiti quando la Black Candy è di mezzo. Bontà nelle scelte, perché lo spessore, sia chiaro, lo fanno le band. Come i Brother James, che danno finalmente un seguito a “Lack”, debut album datato 2000. Datato, insomma.
Con “Days” il quartetto parmense prosegue, com’è logico che sia, nella ricerca di una “voce” propria, facendo comunque tesoro di un bagaglio di precedenti musicali tutt’altro che “mansueti”. Il sound di “Days” può essere letto nel senso di un approfondimento del tentativo di coniugare i suoni ruvidi del punk detroitiano con le geometrie spigolose del post-rock più tirato. Tale convergenza avviene nel segno di una registrazione analogica che, abbassando la fedeltà del prodotto finale, lo rende più abrasivo, quasi anche lisergico nelle distorsioni cui le chitarre – vere padrone del sound di Matteo e soci – vengono piegate.
Una simile materia non richiede molte parole, e i Brother James lo sanno. 5 brani più due cover (‘Kill Your Sons’ di Lou Reed e ‘One Too Many Mornings’ di Bob Dylan) in mezzo giro di lancetta piccola sono sufficienti per affermare, con adeguata eloquenza, un concept che acquisisce il vecchio per ridargli nuova linfa. Ciò che si può chiedere ai Brother James è probabilmente una miglior messa a fuoco dei suoni (la batteria nell’iniziale ‘The Power Of’ fatica a levarsi da un imbarazzante “dilettantismo”), ma è una pretesa che solo l’esperienza può portare a coniugare con la genuina esigenza di un sound scarno e “sporco”. Il tempo ci dirà. Ma la fiducia non manca affatto.
Autore: Roberto Villani