Sono amareggiato. Perché non riesco ad esaltarmi all’ascolto della quarta prova lunga della multinazionale dell’acchiappo cui m’ero avvicinato -giuro- con grande curiosità e massimo rispetto. Quest’ultimo resta e non poteva essere altrimenti visto lo spessore dei musicisti che animano il succitato progetto, la curiosità muore invece dopo una quindicina di minuti e forse
anche meno. A cinque anni da “Solidify” ritornano Waldemar Sorychta, Dave Lombardo e Gus Chambers con un album che regala molto poco di nuovo. Quasi niente.
Evidenti a seconda della traccia -e sono undici- i richiami a Tiamat (con intro di chitarra acustica in “Curse” e “Enemy Mind” che rimandano dritte a “Wildhoney”) e al mito Slayer (“Skin Trade”). Non basta e no davvero. “Endowment of Apathy” suona proprio alla Fear Factory mentre “Privilege”
sembra “Charlie Big Potato” degli Skunk Anansie velocizzata all’estremo, il riff iniziale di “Blood of Saints” addirittura un plagio della “Davidian” dei Machine Head e -ora svengo- le prime note della terza “Prophecy” con la tastiera techno, l’attacco elettrico -incluso l’accompagnamento alla strofa- e il coretto “Hey Hey” ricalcano l’ultimo materiale Death SS. Fortuna che avanti si apra diversamente. Mamma mia che guazzabuglio.
Dal naufragio compositivo salvo “The Answer” con il suo groove tipicamente new thrash e “(Built to) Resist” che fa sognare mentre l’archetto scorre sulle viole preparando un ritornello a squarciagola e ritmicamente bene impostato.
In generale le canzoni non sono brutte, anche l’energia che viene profusa è sufficiente. Ma dopo aver atteso un lustro, un pizzico di delusione mi pare il minimo. E stando a quanto afferma Sorychta il momento di un disco nuovo non arrivava mai semplicemente perché nessuno della band moriva dalla voglia di registrarlo. “Se l’entrare in studio diventa una routine -aggiunge- non ha molto senso”. Parole sacrosante in un contesto errato. Beninteso: non dico che bisognerebbe rinnegare le precedenti esperienze o vivere con le orecchie tappate, ma diversificando l’offerta in modo così repentino si corre il rischio di ripetere una lezione imparata negli anni a memoria e
senza costrutto.
Proporre, riproporre, stancare. La strada intrapresa da Grip Inc. va giusto in questa direzione. Peccato.
Autore: Antonio Mercurio