A cinquantun’anni dal loro primo folgorante singolo “The witch” The Sonics sono ancora qui più focosi e travolgenti che mai. Contemporanei dei Rolling Stones, hanno avuto meno successo economico, ma l’impatto garage lo hanno mantenuto in tatto e nonostante le decadi trascorse sono sempre sulla cresta dell’onda…sonora. Della formazione originaria sono rimasti in tre su cinque, ma tanto basta per riprendere il discorso interrotto circa quarant’anni fa, con questi dodici brani che lasciano senza respiro. In trentadue minuti e quarantasei secondi The Sonics ci sparano in faccia dieci canzoni al fulmicotone, confermando la loro paternità data a buona parte del punk, ai Mudhoney e a tutto il garage degli anni ’90, sia Usa che scandinavo. Prendere il rhythm’n’blues sporcato di noise dei Dirtbombs, il soul-blues dei Them o il piglio forsennato di Oblivinas e The Hives e neanche allora raggiungerete la consapevolezza di che cosa sono ancora in grado di fare The Sonics.
Eccitanti, stimolanti, travolgenti, è impossibile stare fermi quando parte “I don’t need no doctor”, garage sincopato e tagliente, per non parlare di “Be a woman”, nella quale si ha la sensazione di ascoltare Otis Redding e Aretha Franklin con band The Dirtbombs come backing, o ancora “Sugaree” che non fa prigionieri con il suo garage-rock sparato a forza di boogie su pianoforte, neanche fosse Jerry Lee Lewis con the Jim Jones Revue, o “The hard way” grazie alla quale si comprendono le vere radici dei Mudhoney.
La conclusiva “Soend the night” è un’epifania, perché trasmette la sensazione che sia un inquietante incrocio dove, mentre aspettano un losco figuro che deve proporre uno strano affare, Mudhoney e The Dirtbombs, per rompere la noia, si lasciano andare ad un rhythm’n’blues-noise indimenticabile.
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autore: Vittorio Lannutti