Se potessimo condensare il senso del lavoro de Il pan del diavolo in una sola parola, questa sarebbe senza dubbio “inarrestabile”. Sono all’osso è un lavoro di poco più di mezzora per dodici tracce, che sembra durare molto meno sia per l’incessante chop che accompagna la maggior parte dei pezzi che per la sensazione di non averne ancora abbastanza alla fine dell’ultimo brano. In un sound ricercato, tra musicalità esplicitamente d’oltreoceano, tra i Red Allen & The Kentuckians e gli Stanley Brothers, e qualche riff maggiormente legato al cantautorato italiano, la voce di Alosi racconta con raschiante perfezione e lucidità storie diverse che si intrecciano man mano, da Farà cadere lei, pezzo d’apertura dell’album, che riporta alla mente sonorità vocali alla Zen Circus, fino all’esplosiva e, almeno nel testo, minimale Bomba nel cuore (a cui parte della line-up del gruppo toscano collabora effettivamente). Sono senza dubbio degni di nota il brano che da il nome all’intero album, Sono all’osso, in cui i ritmi e sonorità folk-bluegrass da chitarra resofonica e grancassa, lasciano spazio, seppur timidamente, ad interessanti inclinazioni punk che sottolineano un testo duro e nervoso, spinto all’estremo da ripetizioni come in un viaggio onirico da cui ci si vuole svegliare a tutti i costi, nonché la bella Africa, sognante e melodica ballad che unisce una linea vocale roca e pungente a dolci giri acustici di chitarra che accompagnano per mano l’ascoltatore. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un disco d’esordio più che valido che non lascia molto spazio a possibilità di critica negativa, dove tutti i tasselli si trovano perfettamente al loro posto e da cui si evincono le grandi potenzialità del duo Alosi-Bartolo. Per usare le loro parole, ricorderemo questo album “come cattivo, non dolce o gentile”, ma sicuramente anche come piacevole e ben riuscito: un gran bel lavoro.
Autore: A. Alfredo Capuano