La musica dei Deep End si muove tra immagini in chiaroscuro e paesaggi sfocati. Si nutre di figure che si dissolvono al rallenty nella nebbia e dell’infinita malinconia delle sere d’inverno (non ci sono mai stato nella loro Alessandria…ma, non so perché, riesco ad immaginarmele bene, le sere d’inverno vissute da quelle parti).
La musica dei Deep End è cosa viva, organica: si accartoccia su sé stessa per poi incalzare maestosa (“Nobody can scare the mighty pussolini”, “…the fires”), freme nervosa e inquieta (“When juliet was a jerk”, “New gold daymare”), si fa scura e ossessiva (come in “C-floor”, o in “Of androids and electric sheeps”, dove pesanti riff di chitarra squarciano un tappeto di suoni atmosferici e fraseggi di sax) o dolcemente sussurrata (“Motherfuckers never die”).
Rimanda talvolta alla mente la lezione dei June of 44 (la splendida “Home is”), e sa essere romantica e struggente come quella dei migliori Hood (“Silence… silenzio”, con la voce di Marylin Tognolli). Un disco emozionante ed intenso, da assaporare con calma.
Autore: Daniele Lama