A sei anni dal precedente lavoro discografico ritornano i Kill the Vultures, duo hip-hop sperimentale del Minnesota formato dal rapper Crescent Moon e dal producer Anatomy.
Carnelian, quarto lavoro in 10 anni, è pervaso da una forte tensione emotiva e non conosce giri a vuoto, con una colorazione scura delle atmosfere urbane e le tipiche colorazioni hard bop, funk e noise, con la partecipazione di una nutrita schiera di ottimi musicisti ad ottoni, legni, piano, e percussioni, i cui suoni si fondono bene nel tessuto elettronico. I Kill the Vultures, ad ogni modo, dal vivo si presentano sul palco in duo.
Dalla remota periferia dell’impero hip-hop americano – il Minnesota non è esattamente New York, Chicago o Los Angeles – i Kill the Vultures hanno sviluppato un peculiare linguaggio antagonista e poetico al contempo – la forbita, logorroica ‘Broke‘ – in cui si susseguono, con impeccabile musicalità, simbolismi e contrasti dal sapore apocalittico, biblico, dylaniano: “What’s behind the curtains/ uncertain but determined/ To reveal the gears turning/ the machine behind the person/ Pulled back the fabric/ head spun in a whirlwind/ It was nothing but a white wall/ lightbulb and a serpent/ Nothing but a white wall, lightbulb and a serpent”, in ‘The River‘, attuando inoltre un’opera di pulizia della musica hip-hop, troppo spesso caricato nelle versioni radiofoniche di arrangiamenti dozzinali e superflui.
In brani come ‘God’s Jewelry‘ l’aspetto lirico eccelle, mentre in altre circostanze – sicuramente ‘Smoke in the Temple‘ e ‘Coins on the Open Eyes‘ – Anatomy riesce a stravolgere i suoni acustici, stendendo un piano musicale di gran classe, continuamente fratturato, che in talune circostanze ricorda Barry Adamson, Tricky e 50 Cent ma con una visione maggiormente orchestrale e radicata nella storia della black music – ascoltare in particolare gli ottoni jazz di ‘Don’t Bring the Devil Out‘ – con la voce incalzante di Crescent Moon che non dà tregua.
Carnelian è un disco hip-hop che stravolge il genere, al punto da rischiare di risultare incomprensibile a chi dell’hip-hop segue la versione commerciale, ma anche a chi ne ama la versione urbana, antagonista, tossica più tipica. Riconcilierà invece con il rap coloro che amano il jazz, con il quale getta ponti straordinari tutti da approfondire.
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autore: Fausto Turi