L’evento è di quelli da far eco in tutto il mondo…i Verve sono tornati!! Dopo oltre 10 anni di assenza, in cui Richard Ashcroft ha pubblicato da solo, e quando ormai da tempo tutti consideravano i Verve nient’altro che una bella parentesi del brit rock anni ’90, eccoli di nuovo insieme, per un nuovo album, il quinto della loro carriera.
L’album, uscito a fine agosto, è di per sé un cult: anche perché Urban Hymns aveva talmente sfondato (il quinto album per vendite in Gran Bretagna nella storia della musica) da far identificare i Verve con le indimenticabili melodie di Bitter Sweet Symphony o di Lucky Man o Sonnet, e quindi adesso i quattro di Wigan sono attesi al varco, non solo per il giudizio sui tanti anni di inattività passati, ma anche per l’inevitabile confronto con il loro album più noto….
Ebbene, scordatevi Urban Hymns: i Verve hanno ben deciso, a quanto pare, di non provare nemmeno a replicare lo stile di quell’album, e quindi non hanno cercato le ballate dalla melodia facile e immediata, non hanno cercato la voce struggente di Ashcroft né i giri di chitarra acustica così tanto usata in precedenza. Forth ricorda molto di più gli album precedenti, psichedelici e interiori, tipo A Storm in Heaven o This is Music, anche per la lunghezza dei brani (nessuno più breve dei cinque minuti e mezzo) e per gli arrangiamenti ricchi di effetti elettronici in sottofondo.
Il singolo che accompagna l’uscita, Love is Noise, richiama i Verve più noti solo per il refrain piuttosto incalzante e per il messaggio struggente, tipicamente alla Ashcroft: “l’amore è problema, l’amore è sofferenza, l’amore è la tristezza che sto cantando adesso”.
Per il resto, Sit and Wonder che apre l’album è una bella introduzione ai nuovi Verve, dolorosa e cupa anch’essa, mentre più luminosa e solare è Rather Be, troppo simile però a Lucky Man.
Il vero sound del nuovo album, più intimo, sottile, soffuso, lento, si sente però con Judas, decisamente non una canzone da sfondamento, ma da scoprire pian piano, per farsi sorprendere magari dai falsetti di Richard nel finale. Numbness e I See Houses seguono questa scia, ed è a questo punto che i fan di Urban Hymns potrebbero trovare le sonorità di Forth noiose, mentre chi ha ammirato i Verve precedenti scoprirà dei gustosissimi richiami a quello stile.
Non è però una mera ripetizione dei vecchi lavori questo Forth: lo si capisce da Noise Epic e da Columbo che questi sono i vecchi Verve pre-successo stellare, cupi e contorti, ma aggiornati comunque al nuovo millennio, per sonorità e “incattivimento” complessivo. Appalachian Springs chiude più che dignitosamente questo album, che, se proprio si vuole cadere nei confronti, non sembra mostrare grosse differenze con i lavori solisti di Ashcroft, e questo la dice lunga su quanto lui sia la mente e l’anima del gruppo, con buona pace di Nick McCabe (chitarra), Simon Jones (basso), Peter Salisbury (batteria). Ma il ritorno di uno dei gruppi migliori degli anni ’90 è comunque una bella notizia, anche se resta da vedere come reggeranno i quattro a un mercato discografico profondamente cambiato e forse più pronto alle ballate di Urban Hymns che alla psichedelica moderna di questo controverso ma comunque sorprendente Forth.
Autore: Francesco Postiglione