I pariolini di diciott’anni, i falsi nerd, i radical chic senza radical, Wes Anderson e, più in generale, il mondo hipster: nel 2011 “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” tocca nel profondo il panorama alternativo italiano, o pseudo tale, scatenando un’enorme quantità di discussioni e dando il gruppo romano di Niccolò Contessa (adesso si può dire, dopo l’anonimato del primo periodo) in pasto all’hype dei social e delle chiacchiere da bar.
Semplice synth pop, testi a tratti geniali, la musica de I Cani equilibra la leggerezza ed il forte carattere pop delle sonorità con citazioni di spessore e disegnando, puntandogli il dito contro, quello che è il microcosmo hipster italiano.
“Glamour” è il logico sequel del primo album, sia dal punto di vista musicale che tematico non tradisce chi si era schierato pro-Cani: la maggior parte dei pezzi riprende le sonorità dell’esordio (“Come Vera Nabokov”, “Non c’è niente di twee”, “Corso Trieste”, “Storia di un artista”) con l’”io”, non il concetto filosofico ma semplicemente la prima persona singolare, protagonista dell’album: un passo avanti introspettivo per Contessa che, dopo aver puntato la lente d’ingrandimento sul mondo in cui vive, si apre agli ascoltatori tramite autocitazioni ed aneddoti personali.
“Glamour” resta un inno alle nuove generazioni, ai giovani italiani costretti a preferire il materialismo e l’individualismo (“Non si può correre soltanto dietro ai sentimenti), denunciando sia la difficoltà oggettiva del mondo di oggi (Storia di un impiegato) sia le magre ambizioni contemporanee (“FBYC SFORTUNA”), con I Cani stessi vittima di un passaggio tra adolescenza ed età adulta molto freddo e distaccato.
Con “Introduzione” si capisce immediatamente che c’è stato un’evoluzione: batteria acustica, composizione più pulita, influenze da Baustelle, maturità e disillusione. Si passa a “Come Vera Nabokov”, una canzone d’amore “diversa”, ambigua e con varie chiavi di lettura, musicalmente in pieno stile “canino” e in soluzione di continuità con il primo album. “Non c’è niente di Twee” è il singolo scelto per presentare “Glamour”, un approccio amaro e distaccato ad una storia d’amore mai iniziata, ricco di stereotipi sulla superficialità mondo giovanile (Tumblr e le disoneste fotografie “in cui siamo bellissimi e perdenti). “Corso Trieste” è la canzone più inquieta e cruda, definita addirittura “emo” per via delle chitarre dei Gazebo Penguins, pezzo in cui Niccolò dice addio definitivamente all’adolescenza senza coinvolgimenti sentimentali. Le citazioni di “Storia di un impiegato (da De André, nel titolo, a un verso dei Diaframma di Gennaio, agli stessi Cani di Door Selection) sono il punto più alto dell’introspezione del cantautore romano (“di contare i dieci euro in cambio dei Long Island“) nei periodi di passaggio tra anonimato e successo: storia di tutti i giorni, di una musica che non ti permette di vivere e ti costringe a sacrifici e compromessi.
Con “Storia di un artista” si torna al synth classico, un pezzo che sviscera la storia di Piero Manzoni e che critica gli ambienti intellettuali nostrani, legati nostalgicamente al passato, pur essendo impelagati completamente nella desolazione dell’epoca attuale, il classico tormento del bisogno di sentirsi alternativi e “tutto tranne normali”.
“Roma Sud/Theme from Koh Samui” (feat. Cris X) è un esperimento ambient, una pausa che rallenta la velocità del disco, che ci permette di tirare il fiato e di riflettere su quanto ci stiano coinvolgendo i testi e la musica de I Cani. Insieme a “San Lorenzo” cito anche la ghost track “2033”, entrambi pezzi collegati con il cantautorato italiano (un po’ vuoto e troppo “pop” nel caso specifico del primo pezzo), distaccandosi per un attimo dal carattere introspettivo del disco, ricordando la tradizione musicale romana, usando usa un giro d’accordi retrò ed un accento prettamente romanaccio.
Realismo e disillusione anche in “FBYC SFORTUNA”, pezzo irrequieto sulla bassezza delle ambizioni giovanili moderne, il tutto sotto forma di omaggio ai Fine Before You Came e all’electro-punk, sicuramente il pezzo che mi convince meno insieme a “San Lorenzo”, per motivi opposti ma in entrambi i casi per l’eccessivo snaturarsi della band. Le conseguenze del successo, tutte messe giù in un pezzo molto semplice come “Lexotan”, che chiude coerentemente l’album con un barlume di speranza sul raggiungimento della felicità: stupida, improbabile, ridicola e patetica, ma pur sempre felicità.
L’album ha dei passaggi a vuoto, musicalmente è più variegato del suo predecessore ma ancora troppo legato ad una base che caratterizza tutti i brani, ma parliamoci chiaro: ci si ritrova a canticchiare i pezzi de I Cani senza nemmeno accorgersene, capita di parlarne agli amici e di riportare le citazioni nelle più disparate conversazioni. E’ synth pop, l’obiettivo è raggiunto con il valore aggiunto di Niccolò Contessa, un cantautore già bravo e finalmente maturo che , ne sono certo, non ci deluderà.
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autore: Natale De Gregorio