“Courtesy of” Materiali Sonori approdano a questa redazione anche le produzioni targate Film Guerrero, piccola “artist-run” label dell’Oregon (sì e no 20 voci in catalogo) che contribuisce ad allargare lo spettro sonoro di quanto musicalmente realizzato nello spigolo nord-ovest degli States. Per ora qui da noi due titoli, in ambo i quali figura la persona di Tucker Martine nella doppia veste di produttore (per i Transimissionary Six, di cui leggerete domani) e musicista (suo il progetto Mount Analog, per il quale ricopre anche il primo dei ruoli citati).
Più che una band i Mount Analog si configurano come un’accolita di musicisti (tra cui spiccano Bill Frisell, chitarrista ambient e jazz, ed Eyvind Kang, violista norvegese di recente su Ipecac con un album) riunitisi attorno a Martine per concretizzare la sua idea di folk-ambient da soundtrack tendenzialmente “documentaristica”. E “New Skin” dà l’impressione di riuscire nella costruzione di questa impalcatura sonora, e con un’eterogeneità di risultati che fa da invito a più ascolti nel tempo laddove l’obiettivo consista nel fissare/spiegare la dinamica della tracklist.
Un breve preludio (‘Haywire’) introduce una spettrale aurora di chitarra e viola (‘Harry Smith’s Cats’), prima che il disco entri propriamente nel vivo. Ma è un “vivo” discreto, come accennato: ‘Night Night’ è ambient pianistica classica, mentre ‘Bell & Howell’, dopo un incipit in continuità coi precedenti episodi, dirama un sound più aperto e complesso, in un’ambivalente direzione prima jazz, poi country. Il concept roots, pur se infarcito di contaminazioni (tra cui figurano le field recordings effettuate da Martine in Nord Africa e Turchia oltre che “a casa”), prosegue, in ‘Fall’ e nella più desertica ‘Giving Up the Light’, con la placidità di un fiume che scorre indisturbato nella penombra tra le selve, diradatesi le quali e idealmente ri-esposto al sole, il sound si fa di nuovo più arioso (‘Gospel Melodica’), prima di piombare nell’ermetica oniricità di ‘Still’.
Sono piuttosto ampie, come si può vedere, le oscillazioni del mood di questo disco, il quale, sviluppandosi su una distanza relativamente breve (poco meno di 40 minuti), risulta in un certo senso “movimentato” pur senza allontanarsi mai dall’aura bucolico-ambientale che lo caratterizza, che proprio nelle conclusive ‘Freeze Green’ e ‘The Wake’ – sorta, quest’ultima, di seconda alba dopo quella iniziale – raggiunge il suo apice di “silenziosa intensità”. E ci rammarica poter ritrovare Martine come “semplice” produttore (e “tambourine-man”) in “Get Down”…
Autore: Bob Villani