autore: Fausto Turi
A 4 anni dal precedente disco intitolato Only as the Day is Long, ecco di nuovo Sera Cahoone, cantautrice folk americana dei boschi del Colorado, che per sviluppare la propria passione musicale si trasferì nel 1998 a Seattle, suonando dapprima con i Carissa’s Wierd ed i Band of Horses – alla batteria – per poi avviare dal 2006 un’attività solista presso l’etichetta Sub Pop che l’ha vista impegnata alla voce e chitarra acustica, e questo è il suo terzo disco.
Deer Creek Canyon, pur rimanendo incentrato sul country folk molto tradizionale dei lavori precedenti con accompagnamento di slide, banjo, pianoforte, violino, violoncello, armonica e batteria morbida, fedele ad un rigoroso ultra classico tempo medio in 4/4, sulla ballad, è animato tuttavia da maggior vivacità rispetto al passato, laddove la cantautrice mette da parte le cupe introspezioni per raccontarci di casa sua, dei monti Appalachi e di Deer Creek, in un affresco bucolico di grande semplicità; ecco dunque che Deer Creek Canyon cita molto lo stile country folk classico nashvilliano – in ‘Nervous Wreck’, che ricorda Dolly Parton, e nell’omonima ‘Deer Creek Canyon’, o nell’intimismo chitarra e slide di ‘Still we Move’ – ma anche talvolta, ben più raramente ad ogni modo, la narrazione più spiritata, inquietante, che il genere prese con i “dissidenti” Johnny Cash e Merle Haggard nei 60, e Neil Young nei 70 – accade nella bella ‘Naked’, ed in ‘Rumpshaker’ – mentre il tenerissimo bozzetto intitolato ‘Shakin’Hands‘ non è poi così lontano dal new folk di Alela Diane e Jolie Holland.
Non male anche le ballate più pop: ‘Anyway you Like’ e ‘One to Blame’, per un disco probabilmente senza sufficiente appeal per il mercato italiano – troppo classico, troppo omogeneo, senza scossoni, poco giovanile – ma in ogni caso equilibrato, senza cadute di tono o di stile. Una nota di merito anche alla voce di Sera Cahoone, non potente o profonda, ma limpida e perfettamente contestualizzata nel genere messo in scena.