La lunga apertura (con sax) di Disclaimer sembra spiazzare. Quasi 7 minuti jazzati ed una voce “albarniana” per poi passare alla dolce e lancinante Dream Job, un blues da ballare in un racconto di John Fante. The Dears, da Montreal, sono al quarto lavoro: ho amato Gang Of Losers e quest’album, Missiles per l’appunto, presenta la band in formazione dimezzata: è rimasto Murray Lightburn e la corista-moglie Natalia Yanchuk, due contro quattro. Missiles è un album composto in nome del blues, che della musica del diavolo più che il sound possiede lo scheletro, i testi, sospesi tra speranze, disastri, sfighe. Si pensa agli Smiths (Demons), al pop di classe, raffinato, ma al tempo stesso affiorano guitar polverose, primi REM per intenderci: poi a metà album, ti ricordi che se dobbiamo conservare qualcosa degli anni zero quelli sono i Radiohead, e anche Lightburn lo sa. “Lights Off” è la loro “Paranoid Android”: testi ultra-ripetitivi, invasività, “And leave the hat on the bed. Leave the hat on the bed, leave the hat on the bed “ strascica Lightburn, cambi di toni, e un senso di apocalisse-urgenza. La litania della title-track sfocia nel folk, supportata solo da un arpeggio che nella parte finale diventa riverbero, in un caos “controllato” che rimanda ai Mogwai. La speranza di redimersi, di essere innocenti, la paura di peccare diventano nella sanguino-lenta “Saviour” una sorta di ipnosi strisciante. E’ poprock di qualità e per questo ha molti detrattori, i quali non digeriscono la somiglianza-vicinanza ai vari Morrisey e Blur. Ma qui la musica si riorganizza come un’orchestra, si frulla, viene appesa a testa in giù. A Missiles ci si affeziona facilmente.
Autore: Luigi Ferraro