La summertime annunciata dal titolo di questo EP arriva scoppiettante sin dalle prime note (che sono poi degli allegri fischiettamenti) della prima canzone, Let’s go surfing, che non solo nel titolo cita esplicitamente i maestri del surf-rock, i gloriosi Beach Boys. Tutta la canzone è una forte citazione dei ritmi, dei modi, dei cori, della freschezza estiva così tipica del sound californiano di Brian Wilson e compagni, come pure la successiva Make You Mine. Ma basta Don’t be a Jerk, Johnny! per farci capire subito che non siamo di fronte a plagio né a tentativi di rispolverare il vecchio: piuttosto l’operazione che questa nuova band di Brooklyn vuol fare è rinnovare quel genere, con una struttura di suono tutta nuova, dove si privilegiano chitarre suonate a una sola corda con vasti effetti di eco, e atmosfere vagamente malinconiche che non troveremmo mai in Barbara Ann o Surfin’ in the USA. Sono loro stessi a darci la chiave dei loro pezzi: “Scriviamo eslcusivamente di due sentimenti: uno è il primo giorno d’estate quando sei con tutti gli amici davanti alla collina guardando il sole spuntare e ti senti pieno di sogni e speranze. L’altro è quando cammini da solo nella pioggia e realizzi che sarai solo per sempre”. E pian piano che si ascolta il promo, si sente sempre di più che per i Drums il tempo è trascorso: sono passati gli anni ’70 del punk, gli anni ’80 dei New Order e degli Smiths, gli anni ’90 del brit-pop. Di tutto questo c’è una traccia, labile ma essenziale, nella musica di Jonathan Pierce, Jacob Graham, Adam Kessler, e Connor Hanwick, che resta surf-rock, ma con sfumature più liriche, più dense, che li avvicinano nei pezzi migliori a un pop non superficiale (come in Submarine e ancora di più nella ballata Down in the Water per chiudere con la freschezza solo apparentemente pop di I felt Stupid). Ed è a questo punto che l’eco dei Beach Boys si spegne a favore di un richiamo molto più forte e attuale, di marca Glasvegas. Ed è con la band scozzese che probabilmente questi ragazzi condivideranno nel prossimo futuro la palma degli alfieri del neo-melodic rock, ispirato alle melodie anni ’50 ma contemporaneamente vigoroso ritmicamente e armonicamente strutturato (anche se i Glasvegas sono decisamente più proiettati nei territori del rock).
La firma di un’etichetta indipendente come Moshi Moshi, afferente al circuito Cooperative Music, suggella il fatto che questa band è una scommessa forte del panorama indie attuale.
Se sia vincente o meno (e ci vorrà un po’ più di cattiveria e meno cori melensi per adeguarsi al registro del rock attuale), lo dirà il loro album di debutto previsto a giugno. Aspettiamo pazienti.
Autore: Francesco Postiglione