Colpisce la grazie con la quale questa giovane cantautrice di Portland riesce a scrivere canzoni convincenti, dotate di un grande appeal.
Cresciuta ascoltando i Velvet Underground di “After hours” e Hank Williams, suonando il basso, solo dopo molti anni ha imparato a suonare la chitarra.
La sua voce è spesso flebile, ma molto conturbante, al punto tale da affascinare anche il più cinico; le sue corde vocali hanno il pregio di andare a scavare nell’emotività dell’ascoltatore e cullarlo.
Il cantato è accostabile a quello di Rickie Lee Jones, ma rispetto a questa, Shelley Short accentua le melodie, grazie ad un approccio jazzato, in maniera suadente e delicata.
I dodici brani in scaletta hanno questa struttura base ma in alcuni episodi l’artista dell’Oregon fa delle brillanti digressioni come nel rhythm’n’blues-soul nostalgico di “The dark side” o negli esotismi latini di “These walls”.
Accompagnata da validi musicisti come Alexis Gideon (anche produttore) al piano, Nate Query (The Decemberists, Black Prairie) al basso e Rachel Blumberg (M Ward, The Decemberists) alla batteria, la Short porta l’ascoltatore lungo sentieri evocativi, morbidi e soffusi. Datele una chance, prendetevi il tempo per ascoltarla.
Autore: Vittorio Lannutti