Dopo il fortunatissimo esordio “Inside in/Inside out” la band di Brighton è tornata con un album che, nelle intenzioni, doveva dare la svolta definitiva al sound del gruppo. Luke Pritchard, infatti, aveva più volte spiegato come il secondo album sarebbe stata una sorpresa, lontano da quello che ormai siamo abituati a catalogare come indie rock d’oltremanica, come sarebbe stato un album più… pop.
Onestamente a qualche mese dall’uscita del disco, e dopo qualche ascolto in più, qualche dubbio sull’originalità tanto millantata ci è venuta.
“The Konk”, questo il nome (preso dallo studio in cui hanno registrato) del secondo album dei Kooks uscito per la Emi, suona sempre molto brit pop, e non si discosta tanto dal sound delle new big things mensili. L’album suona bene, senz’altro, percorrendo, però, un solco già tracciato.
Ad ogni modo il singolo è accattivante, l’aria svaccata ce l’hanno, e un esordio col boom alle spalle pure. Tutti ingredienti che non guastano e che fanno da preludio a un secondo disco alto in classifica.
Dicevamo, percorrendo quel brit pop lontano dall’elettronica e più vicino agli Oasis, hanno sfornato un album comunque orecchiabile, ricco di ammiccamenti al mainstream, vedi il singolo Always Where I Need To Be, pochi accordi ma quelli giusti, insomma non proprio sperimentale, ma potete scommettere che il ritmo sbattendo il piedino a terra lo terrete in continuazione, e a volte questo già basta.
C’è tutto nel disco, non mancano neanche le ballads da secondo singolo, immancabili!
L’amore, immancabile anche questo, in un qualsiasi album (auto)definito pop.
Voleva essere l’album della svolta, del cambiamento, l’album pop, dove questo termine rimandi a nomi come quello dei Beatles. È un album britpop, sì, ma che rimane stretto in quella grande camicia di forza che è l’aspettativa disattesa del secondo album; e se anche la band, poi, ci si mette con i proclami di rivoluzione…
Autore: Francesco Raiola