Quinto disco pubblicato in catalogo dalla giovane etichetta britannica Tongue Master, questo secondo album dei Last Harbour (che vantano anche due ep e sono attivi dal 2000) di Manchester intriga subito per la bella copertina invernale, che sembra quasi sfidarci ad indovinare il tipo di musica proposto dal quintetto – formato per la precisione da Kevin Craig voce, David Armes chitarra, Gina Murphy piano e voce, Huw McPherson batteria, Sarah Kemp violino e banjo –: sarà mica musica acustica, dark, malinconica?… beh, si, in effetti è proprio così.
Nick Cave e Tindersticks i numi tutelari dei Last Harbour, soprattutto i secondi direi, vista l’assenza di momenti di panico violento cui ogni tanto Nick Cave ancor oggi si abbandona memore del suo passato post punk; in questo ‘Hold Fast, Pioneer’ sono sempre pianoforte e violino a sorreggere le canzoni le quali, devo dire la verità, pur non avendo presa e mordente tale da conquistarci appieno, ci stuzzicano.
Atmosfera intensamente dark ma in chiave moderna: eleganza e malinconia, ordine, composizioni cameristiche scritte al pianoforte (strumento centrale in tutte le tracce: brava Gina Murphy), suoni di carillion e pioggia battente, testi scanditi con lirica drammaticità e con voce bassa sulle tonalità di Johnny Cash o ancor più di Aaron Stainthorpe (mai abbastanza considerato cantante dei My Dying Bride), poca variazione da uno schema sonoro noto, certo.
L’unica cosa carente è l’impatto delle singole canzoni: poche sono realmente memorabili. Credo l’intenzione dei cinque – piuttosto che realizzare il singolo per la radio – fosse quella di creare un climax, un’atmosfera drammatica da portare avanti e sostenere lungo i 54 minuti del disco, e ciò in effetti riesce e piace.
Il violino di Sarah Kemp è decisivo nel creare il “mood” sonoro dei Lost Harbour: esso conferisce a tutte le canzoni grevità e spettrale eleganza (‘China White’, ‘Johnny Row’, ‘Circle’), ad alcune anche effetti disturbati e distorti (‘I Come for the Unsolved’, ‘His Cold Hands’, ancora ‘Johnny Row’).
Il disco poi si conclude con una tenera ‘The Ties that Bind’, languido notturno per quartetto d’archi (2 violini, viola, violoncello) moooolto ‘ultimo’ Nick Cave. Un consiglio: andate sul loro sito internet e scaricate qualche mp3, ce ne sono ben cinque liberamente a disposizione…
Autore: Fausto Turi