“Down the River of Golden Dreams” è il disco (il terzo pubblicato della band texana, per la cronaca) che chiunque abbia in mente di farsi un bel viaggio in macchina coast-to-coast negli U.S.A. dovrebbe portarsi con sé.
Certo la copertina (bellissima, non trovate?) e certe atmosfere richiamano alla mente più che altro dimensioni “marittime”. E lo stesso Will Sheff, songwriter e cantante/chitarrista del gruppo, sul sito loro sito ha dichiarato di sentire questo ultimo lavoro come particolarmente legato all’elemento “acqua”.
Eppure, ascoltando queste splendide ballate acustiche (spesso e volentieri “sporcate” da strumenti elettrici), così ariose e “vive”, non riesco a fare a meno di immaginare di ascoltare questo disco su una interminabile highroad deserta.
Ma anche nelle vostre stanzette, credetemi, pur venendo a mancare l’ambientazione suggestiva (senza nulla togliere alle vostre “tane”, per carità), le emozioni sono assicurate.
Prendete “For the enemy”: una splendida ballata country-rock, con una melodia sospesa su splendidi organi hammond. Fatela ascoltare ai Counting Crows, e vedrete che inizieranno a pensare seriamente di appendere gli strumenti al chiodo. O l’elettrica, bellissima “Blanket and crib”, con la voce quasi sforzata, a cavalcare note nervose e sofferte. Lasciatevi travolgere da “The war criminal rises and speaks”: un crescendo struggente, di un’intensità drammatica notevole, che si svuota tutto d’un tratto lasciando la voce di Will a dialogare con la sola chitarra acustica. Ed è come svegliarsi di colpo dopo un incubo e tirare un sospiro di sollievo. Dondolatevi al ritmo gentile di “Dead faces”, in cui i Nostri incastrano fisarmonica, hammond, chitarra acustica, banjo e fantasmi (…Ghostly faces at my living-room window aren’t scared of me because they know I can’t hurt them…) con rara grazia. Ma i momenti memorabili sono davvero tanti: “Maine Island Lovers”, lentissima, con le spazzole ad accarezzare il rullante, è intrisa di quel “blue mood” di cui gli Spain furono superbi cantori. Sicuramente la canzone più malinconica e disincantata (“Because when I look in my future, I don’t see you and don’t wish to”). “Song about a star” è il Bob Dylan elettrico che fa baldoria con i Neutral Milk Hotel; “Yellow” è un saggio di finissimo cantautorato. Una ballad per marinai innamorati.
Che lo dobbiate ascoltare “on the road” o stravaccati in divano, fissando il mare o la città sotto la vostra finestra, date a questo disco la possibilità di conquistarvi…
Autore: Daniele Lama