Lanciato qualche anno fa dal singolo Dog Days, estratto dal disco di debutto Asia Breed, Matthew Dear pare nato per sfuggire a ogni forma di categorizzazione e, soprattutto, per ampliare i confini di ogni terreno sonoro che finisce col percorrere.
Texano trasferitosi in Michigan, a stretto contatto con Richie Hawtin o la detroit della techno, Dear è considerato uno dei fuoriclasse della nuova scena dark wave elettronica.
Attivo anche in remix con artisti del calibro di XX, Charlotte Gainsbourg e Hot Chip, Matthew Dear presenta ora la sua Black City, location oscura quasi burtoniana, dove ottime vibrazioni elettroniche e distorti esperimenti vocali si mescolano perfettamente in un curioso magma sonoro, a tratti sensuale, decadente, inquietante.
Uscito a Settembre sulla sua Ghostly International, Black City ha un tono sinistro che raggiunge in alcuni casi sfaccettature davvero affascinanti, in grado di percorrere anche la forma melodica più tradizionale (Little People) senza perdere nulla in groove ritmico, come già insegnava Moby qualche anno fa.
Ricetta che a maggior ragione diventa da oggetto di curiosità nella versione live, quella da lui preferita, dove può andare oltre i canoni mille volte percorsi di un dj set per insistere invece sulle mille sfaccettature del fattore umano, appunto come Moby, alla cui scuola Dear è sicuramente primo debitore, come si ascolta qui in pezzi come I can’t Feel, Slowdance, o You put a Smell on Me.
La sua sfera di riferimenti però si allarga anche a Richie Hawtin o a Fat Boy Slim, senza trascurare ascendenze che richiamano i primissimi e cupi Simple Minds della scena post-punk elettronica (ne sono esempio pezzi come Little People, Slowdance, More surgery o Shortwave o la bellissima Gem, brano di chiusura).
Nel complesso un album che appare ancora grezzo, ma pieno di risorse innovative, da studiare appunto nei live che terrà a breve a Roma, Torino e Milano dal 16 al 18 dicembre.
Autore: Francesco Postiglione