Notizie dai Fugazi? Sì, no, forse. Giravano voci che avessero chiuso bottega (la band, non la Dischord), ma è passato un bel po’ di tempo. Già allora però, in calce ai comunicati riportanti tali voci, si parlava degli Evens, off-shoot dalle sembianze cantautorali tra Ian MacKaye ed Amy Farina – poco più di nessuno con quei soli Warmers in curriculum.
Siamo al presente: i Fugazi latitano ancora, ma gli Evens, quelli sì, esistono davvero: Ian alla chitarra baritono, Amy alla batteria, microfono equamente condiviso. Un bel dilemma, da subito: come approcciarsi? cosa aspettarsi?
Quanto al primo quesito, scegliamo di partire dal main-project. In 15 anni e passa di onorata carriera i Fugazi sono riusciti ad insinuarsi nei pochi spazi creativi lasciati liberi tanto dall’ambito di provenienza (hardcore, varietà DC-straight edge) quanto da quelli circostanti (dal punk strictu sensu ai più generici codici dell’80s alternative rock a stelle e strisce), spazi che MacKaye e soci hanno saputo allargare a proprio piacimento sì da coniare qualcosa – il DC-sound – che si è riusciti ad etichettare solo con l’ausilio del dato territoriale. Altrimenti detto: siamo i Fugazi e basta – chi suona all’ombra del Campidoglio, d’ora in poi, dovrà fare i conti col nostro sound. E così è stato, fino a prova di smentita.
E il discorso vale anche, necessariamente, per questo estemporaneo duo. Che conferma, su coordinate “Fugazi-soft” – e minimali, vista la risicata line-up –, più l’anzidetto assioma che un’inclinazione propriamente cantautoriale. Gli Evens danno la preferenza a canzoni dal formato breve (ovvero standard – 3 minuti di media – se preferite), tese più per il nervosismo che caratterizza il sound della band-madre che non, appunto, per la breve durata, fratturate dai tempi-e-controtempi di Amy. Nessuna di esse svetta in particolare, a meno di non adottare il teorema “secondo brano=singolo” su ‘Around the Corner’, che di coinvolgente ha dalla sua “quella” tintinnante, inconfondibile chitarra. O di non mantenere l’attenzione desta abbastanza per appassionarsi alla conclusiva ‘You Won’t Feel a Thing’, che della precedentemente citata condivide il feel.
Quanto al resto, due possibilità: nuova opzione nel catalogo Dischord o semplice metadone per i die-hard fans qui inevitabilmente orfani di Guy Picciotto alla voce? La risposta farà da pendant al secondo dei quesiti di cui sopra. Che lascio volutamente aperto. Ci risentiamo.
Autore: Bob Villani