Sull’album è incollata una moneta da 50 centesimi. Una provocazione, o meglio un invito a devolverla (magari aumentando l’offerta) a Save The Children, organizzazione benefica che si occupa di difesa dei minori. E proprio di un bambino soldato racconta il primo singolo “Here He Comes”, tratto dal suo album omonimo pubblicato dall’etichetta indipendente Renilin. Alessia D’Andrea, calabrese, classe 1982, ha un curriculum di tutto rispetto, che inizia nel 1996 a 15 anni con la finale del festival di Castrocaro. Poi numerosi riconoscimenti (Premio Città di Recanati nel 2001 e Premio Mia Martini) ed un’amicizia con il leader dei Jethro Tull Ian Anderson, con i quali dividerà il palco per ben due volte. Il suo è un sound, in inglese, che spazia prevalentemente tra il pop-rock d’autore, con notevoli inserti chitarristici ed una gamma vocale cristallina, che ricorda Elisa e maggiormente Alanis Morrissette (in particolare nell’open-track). Colpisce “Astradeni’s Lifetime” (scritta dal greco Theodore Zefkilis) in cui un uomo troppo mammone e sfuggente è visto con occhi d’amore. Produzione degna di nota, nessuna sbavatura, grazie anche al lavoro di David Arch (già con Paul Mc Cartney e Robbie Williams), Steafan Hanningan (Bjork, Depeche Mode). Stephan Zeh (Phil Collins) e Florian Opahle (Jetrho Tull) e Francesco Musacco (Cristicchi): ognuno ha costruito certosinamente un suono, dal rock, al pop fino al guitar folk. Infine, l’ultima traccia in italiano: “A casa di Tommy” e se la cava deliziosamente. Un disco coraggioso, ma adesso bisogna fare il grande passo: osare di più, sfruttare le proprie potenzialità vocali per “mutare” un po’ come fece Elisa con il suo secondo album, altrimenti si rischia di restare in quel sound FM americano che non graffia. Affila le unghie, Alessia.
Autore: Luigi Ferraro