Uscito per Infectious Music/BMG a fine gennaio, Hymns segna un nuovo inizio per i Bloc Party dal punto di vista sonoro, con Kele Okereke (voce, chitarra), e Russell Lissack (chitarra) che sperimentano suoni e approcci mai esplorati in precedenza, forti anche dell’inserto nuovo di Justin Harris (basso) e Louise Bartle (batteria).
Dopo 16 anni, l’istantaneo successo di Silent Alarm, innumerevoli premi, tour mondiali e quattro album in studio, Okereke e Lissack hanno da dove tutto è cominciato, cioè dallo scrivere canzoni in due. “I Bloc Party nascono da me e Kele, scrivevamo le canzoni insieme, poi abbiamo trovato altri componenti e da lì tutto è cresciuto. Sembra che sia successo di nuovo“, afferma Russell.
Il bassista Justin Harris, che la band aveva già incontrato con i Menomena, gruppo indie rock di Portland, e il batterista Louise Bartle, una ventunenne che hanno scoperto su YouTube, sembrano rappresentare per il duo originario una vera svolta: “È bello avere qualcuno in grado di portare l’energia delle prime volte. Ci ha reso tutti entusiasti di andare avanti. “
E’ la svolta c’è, ma non è necessariamente positiva, e comunque non è senza traumi. Nelle prime sei canzoni, non si riesce a trovare nemmeno in arpeggio il suono di una chitarra (in realtà nel primo sorprendente singolo The Love Within è proprio la chitarra, distorta con effetti, a sembrare tastiera). La band sin dal primo singolo sembra cercare l’elettro-pop, versione edulcorata di Chemical Brothers (non estranei in passato a collaborazioni con Kele, così come la band non ha disdegnato in passato contaminazioni simili, visto il remix di Silent Alarm).
Anche Only He Can Heal Me segue la stessa scia elettro, anzi quasi disco-pop, mentre So Real e The Good News quasi transitano verso il soul. Ed è puramente soul la prima vera perla dell’album, Fortress, cantata in uno splendido falsetto sostenuto da archi di pura atmosfera e una batteria elettronica ipnotica.
La chitarra, in versione funk, arriva finalmente in Into the Earth, alla track 7, ed è quasi un pezzo alla Roots, come anche Virtue. Ancora chitarra in My True Name, ma per un riff assolutamente pop, che solo il talento di Okereke evita di far scivolare verso atmosfere da boy band.
Virtue, Exes, Eden, Paradiso Song, Living Lux, e sopratutto il titolo del disco: casualità o scelta voluta?
Tutto l’impianto dell’album viene dai temi della fede e della devozione, affrontati nei testi. “Sono cresciuto in una famiglia religiosa quindi conosco perfettamente l’immaginario, ma non sono Cristiano.” L’idea è nata dopo aver assistito ad un incontro con l’autore Hanif Kureishi, che Kele ammira da quando era a scuola, al Southbank Centre di London. L’autore di My Beautiful Laundrette e Intimacy parlava di arte evangelica e di quanto essa sia fuori moda. “Mi colpì molto perché ho sempre creduto che la musica avesse avuto origine in un luogo religioso. La prima musica che io abbia mai sentito erano gli inni a scuola. E così ho iniziato a chiedermi: se avessi fatto musica con una dimensione spirituale, che fosse sacra per me e per le cose che ritenevo importanti, come l’avrei fatta?”
E certamente di dimensione spirituale si può parlare, perché pezzi come Exes, Virtue, Different Drugs, So Real, Fortress, Living Lux, Evening Song contengono davvero un’anima soul, molto intimista e soffusa. L’album è carico insomma di un vero cambiamento, che i fan della prima ora forse difficilmente apprezzeranno, ma di cui non può essere contestato certamente il coraggio.
Bisognerà guardare i Bloc Party in maniera diversa, senza dubbio, ma l’intensità di pezzi come Fortress, Living Lux o New Blood scavalca anche le barriere fra generi ed evita di far storcere la bocca anche ai più puristi del rock.
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autore: Francesco Postiglione