Gli Eat Your Heart Out, al secolo Caitlin Henry alla voce Andrew Anderson e Will Moore alle chitarre, Dom Cant al basso e Jake Cronin alla batteria, provano a rinnovare i fasti prestigiosi del rock targato Australia con il loro album d’esordio, Fluorescence, uscito a maggio per la Fearless Records, e anticipato dal singolo Carousel, in cui la band si ritrova in un particolarissimo luna park mentale e onirico.
Nelle loro intenzioni, gli Eat Your Heart Out vorrebbero ispirarsi alla tradizione australiana prestigiosa di Nick Cave, Silverchair, The Amity Affliction e Parkway Drive, ma rivisitata a modo loro. Nella realtà, il loro sound, sicuramente ancora acerbo, ricorda da vicino il punk giovane di Blink 182, sebbene con voce femminile, e proprio per questo a tratti c’è qualcosa anche dello stile degli Evanescence.
Insomma un po’ di emo, un po’ di punk, e una sana natura melodica pop, e il disco d’esordio è fatto: Fluorescence sembra non voler pretendere troppo, ma essere solo il primo bigliettino da visita.
Eppure in realtà gli EYHO hanno già tre EP alle spalle, Distance Between Us (2015), Carried Away (2017), e Mind Games (2018), quest’ultimo, già edito dalla Fearless Records, di 9 tracce, quindi in pratica già un virtuale primo disco.
Nonostante quest’esperienza accumulata, il loro punk resta molto elementare, ma nello stesso tempo mai troppo duro o cattivo: vorrebbero graffiare ma non mordere, e in conclusione si limitano però a ripetere qualcosa di già sentito.
Carousel, a dir la verità, è un pezzo sicuramente d’attacco, volutamente aggressivo e “pubblicitario”: sin dall’intro di chitarra il sound è fortemente dichiarato, ed è un sound punk.
La cantante Caitlin così racconta il pezzo: “‘Carousel’ è un brano che parla dei pensieri negativi che ci portano a dubitare di noi stessi e a credere di non essere mai abbastanza, e del momento in cui finalmente riusciamo a far chiarezza e capiamo di essere stati irragionevoli. Questi pensieri nascono spesso dall’idea della sindrome dell’impostore da cui molte persone, soprattutto le donne, sono affette e per cui non riescono a riconoscere i loro successi e credono di non meritarli, da lì deriva la costante paura di essere scoperti”.
Gli altri pezzi però non sono troppo all’altezza di ambizioni eccessive: Heavy with Envy è vagamente emo, Pear Tree è la classica ballata convenzionale che bisogna inserire in un album punk, Constellations e Closer to the Sun lasciano intravedere che i ragazzi potrebbero fare qualcosa di più se dessero fondo alle loro armonie più cupe e dark, ma nel complesso le dinamiche sono ripetitive e mai fantasiose, e l’album si regge su un ritmo e una sonorità sempre troppo uguale.
Non peggio, certamente, di molti altri gruppi dal punk facile, ma nemmeno tanto meglio.
Li si aspetterà, a questo punto, di fronte a qualche produttore talentuoso che riesca a far venire fuori dai cinque una vena più originale.
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autore: Francesco Postiglione