The Bloody Betroots è, oramai, il fenomeno italiano per eccellenza. La ‘tendenza’ che ha proiettato l’Italia nel gotha dell’electro mondiale (senza dimenticare gli stimati Crookers, Congorock e pochi altri). Li potremmo definire come importatori della parte più violenta del “french-touch” ma sarebbe limitativo: il progetto sebbene affondi le radici nella cultura-electro; così come intesa dai pionieri Daft Punk, finisce poi per distaccarsene quando ad avere la meglio è la “scostumatezza” e l’attitudine sovversiva del duo, insomma con attitudine punk.
Romborama è il loro primo album e riesce bene a mostrare cosa sono stati e cosa sono i Bloody Betroots. Un lavoro di 20 tracce (gli inediti sono la
maggioranza, ma non mancano vecchie glorie come “Cornelius” e “I love Bloody Betroots”). Un album tosto pubblicato dalla statunitense Dim Mak e riproposto in Italia dalla major Universal. Senza esitare lo definiamo un album punk, per la durezza dei beat e le continue esplosioni di suoni, affiancata ad un immaginario ed un senso di caos ed anarchia trasmessi dalle grafiche di Bob Rifo e Tommy Tea. Tuttavia se a mostrare il loro dark side ci pensano tracce come “Storm”, che sembra davvero trasportarci nel bel mezzo di una tempesta con tanto di nuvoloni, pioggia, tuoni e fulmini, è con ”It’s Better Dj on 2 Turntables” o “Thelonius” che si ‘addolciscono’ le note; come anche in “Mother” (stessa carica emotiva di “Valentine” dei Justice) o in “House n°84 (che ci ricorda “Veridis quo” dei Daft Punk). Numerose le collaborazioni, dai toni barocchi dell’italiano Cecile in “Have merci on us”, all’incontro/rissa con l’amico Steve Aoki in “Warp 7.7”, mentre è notevole anche l’intro con gli All Leather.
Discutibile invece la collaborazione con il rapper italico Marracash in “Come la Cina”, singolo tarato per il mercato italiano, quello meno dance, quasi superfluo per i palati fini ma soprattutto avulso dalle dinamiche musicali del disco.
Autore: Luca Carusone