Spiazzante. Ma neanche tanto. La strada intrapresa dal quintetto britannico negli ultimi anni era chiara e non poteva che portare a questo. Gli esordi rumorosi nella loro cupezza sono lontani sei album e ormai definitivamente alle spalle. Musicalmente la settima prova lunga è caratterizzata da una componente atmosferica preponderante su quanto resta di estremo (come lo intendevano loro, beninteso) ovvero quasi niente. Se non fosse per un paio di accenni vecchia maniera toglierei anche il quasi -nella fattispecie- rappresentato da una canzone (“Pulled under at 2000 metres a second”) e qualche spezzone da “Harmonium” e “Balance”.
Tutto il resto del disco è assolutamente magico, straordinario nella sua suggestione, espressione di pensieri e sentimenti profondissimi ma col metallo, in senso stretto, non ha nulla da spartire. Tanto da farlo accostare -lo leggo nella nota ufficiale dell’etichetta- a produzioni come Portishead e Air. Scevro da queste osservazioni di contenuto, l’album è molto bello.
La tristezza è ancora il punto focale nelle composizioni della band di Liverpool. Un songwriting curato nei minimi particolari ed esaltato da un arrangiamento di archi e tastiere mirabile. Le chitarre di Vinny e Danny Cavanagh disegnano ancora magnificamente lo scorrere del tempo e gli eventi -tragici- che ne conseguono.
Il cantato di Lee Douglas (sorella del batterista John) main voice nella titletrack fa accapponare la pelle.
Metteteci anche una copertina da brivido caldo: un uomo abbandonato a se stesso in una barchetta in quello che una volta sarà stato il mare, ridotto ad una pozzanghera, e sullo sfondo un cielo rosso sangue. Roba da cronache del dopobomba. Insomma non proprio il massimo dell’ottimismo. consiglio vivamente di non ascoltare “A Natural Disaster” (ammesso che lo compriate) nei momenti di depressione. Piuttosto -e rigorosamente in cuffia- quando avete bisogno di riflettere. Io l’ho fatto e per tre quarti d’ora mi sono sentito una persona diversa in un mondo che un giorno -se già non oggi- potrebbe anche appartenerci. La conclusiva e struggente “Violence” fa piangere, a dirotto se siete d’animo sensibile. Un avvertimento: dura undici minuti scarsi. Anathema su di voi…
Autore: Antonio Mercurio