Non è mai troppo facile parlare di un disco che contiene un bel po’ di cose diverse e generi diametralmente opposti ma in fondo, come sostiene il saggio: la diversità è ricchezza .
Ciò che colpisce di questo disco è che ci si può trovare di tutto, dal New Wave all’elettronica all’etnica al reggae al sempre caro vecchio rock ma ancor più immediata è la sensazione di stare ascoltando musicisti che, seppure emergenti o misconosciuti, hanno preso davvero sul serio il proprio lavoro e si sono impegnati alla grande (in fondo Amnesty avrà pur dispensato i premi con un minimo di intelligenza critica, mica difendono i diritti umani per niente…).
La carrellata inizia con i Nuovi Orizzonti Artificiali, vincitori del premio Amnesty e presenti nel disco anche con il clip di Processo a Lugìn, che sanno miscelare il rock e l’elettronica secondo la miglior scuola ibrida, mai troppo di chitarra, mai troppo di synth, ma con una marcia in più, provare per credere: Processo a Lugin incede lentamente con la sua ritmica ossessiva e ipnotica, mentre a premere l’accelleratore ci pensa quella figata che è 0.36(frequenza stabile), da ascoltare rigorosamente in auto, premendo sempre più sul pedale del gas.
I suoni cambiano radicalmente con le due tracce degli Ameba, premio della critica, che prediligono l’asciutta eleganza e la compostezza delle atmosfere ambient e drum’n’bass; in questi dieci minuti di musica riescono a non eccedere e a non ripetersi (sono pochi quelli che ci riescono) sia con il campionatore che con le chitarre riuscendo, grazie alle ricche percussioni, a muoversi lungo il sottile confine tra la musica d’atmosfera e quella di sottofondo, senza mai attraversarlo.
Michael Seck & the Tolou sono gli artisti che (parere personale da prendere sempre con le pinze…) presentano il lavoro più originale di tutto il disco: musica etnica direttamente dal cuore dell’africa allegramente a braccetto con il dub e il reggae; musica che diverte, fa ballare e soprattutto ci ricorda la radice di ognuno di noi, che in fondo siamo figli dell’Africa, figli di tribù e di sciamani che traggono il potere dalla danza. Ai fanatici dei tecnicismi: fatevi un piacere e ascoltateli, lasciatevi andare, ballate e non ci pensate troppo.
Mentre ascoltavo i brani de La Moscaceca pensavo invece: “Perché sul palco dell’Ariston, dove si esibivano Mina, Battisti (due a caso…), adesso ci trovo persone capaci di esibire solo un pessimo taglio di capelli o camice fashion invece di qualcuno capace di interpretare (e rendere attuale) lo spirito della canzone italiana come questi qui? Chi è più cieco? La Moscaceca o il barbiere di DJ Francesco?”. Consiglio per tutti quelli che credono che la musica italiana sia tutta gestita dal buon Renis: c’è dell’altro, anche se va cercato con passione, tra i festival di chi si autoproduce o magari tra le parole delle canzoni della Moscaceca.
Un palmo un po’ più giù rispetto a tutti gli altri troviamo i Risin Family, che hanno deciso di percorrere le strade un po’ inflazionate del reggae in tema no-global; sebbene tecnicamente il sound sia impeccabile, non è particolarmente originale, si lascia ascoltare ma si dimentica subito, o lo si confonde facilmente, specie se chi ascolta sta anche partecipando a una bella manifestazione spippando allegramente (e quindi chissà quanto gliene frega di chi ha scritto proprio quella canzone lì).
A chiudere il disco ci pensano i Viaggio Segreto con la loro decina di minuti di New Wave asciutto e minimalista: voce, chitarra, basso, batteria dosati con parsimonia in due brani dalla ritmica cadenzata, dal classico ossessivo giro di chitarra che non si concede troppe impennate, perfettamente in sintonia con il testo, scarno e incisivo.
Insomma ce n’è davvero per tutti i gusti in questo disco, i suoni così diversi si equilibrano tra loro, mai in maniera scontata…d’altronde stiamo parlando di Amnesty, mica tipi qualsiasi.
Autore: Andrea Avolio