Vien quasi da pensare che è un peccato che Daniele Luttazzi non abbia usato uno pseudonimo per questo suo esperimento stile jazz tentato nell’album “School is boring”, perché con quel nome che è garanzia di comicità e ironia al vetriolo il lavoro rischia di non essere preso sul serio dal pubblico. E invece è un lavoro serissimo, nel quale suonano un bel po’ di musicisti preparati, da Davide Aru a Giampiero Grani, da Mario Guarini a Marcello Surace, tanto per citare gli strumenti fondamentali (chitarra tastiere basso batteria), ma senza dimenticare il sax, i violini, le viole, i violoncelli.
Insomma un’orchestra jazz al completo, chiamata per coronare il sogno del simpatico Daniele di uscire per un attimo dal ruolo di comico di successo per provare l’emozione di essere un musicista a pieno titolo. Un tentativo questo sempre rischioso (già da premiare per il coraggio), che a Luttazzi è riuscito in pieno. Gli undici pezzi sono pieni di atmosfere jazz rilassanti e divertenti (anche se l’album comincia con toni cupi con “A place of cries”, l’unico pezzo più rockettaro), anche se i testi non sono mica da prendere tanto alla leggera (si pensi alla title track “School is boring”) e l’ascolto è sempre piacevole, fecondo, gioioso, per gli amanti del genere ma non solo, visto che la band non scende mai in tecnicismi esasperati. I testi e la musica sono entrambi firmati direttamente da Luttazzi, e questa potrebbe essere una sorpresa per chi non conoscesse già questa passione segreta dell’attore, che dimostrò di saperci fare già con l’album d’esordio “Money for Dope“. Insomma, anche se sembra impossibile con quel ritratto in copertina, in questo disco Daniele Luttazzi va preso sul serio. E ascoltato.
Autore: Francesco Postiglione