Ormai dovremmo averlo capito: l’elettronica non è un “genere musicale”, ma una famiglia di strumenti (ma anche uno strumento = mezzo) attraverso i quali sia costruire nuove forme sonore che riprodurre, su nuove basi e – auspicabilmente – con nuove sfumature e nuovi mood, quelle già esistenti. E limitiamo il discorso al caso in cui l’elemento/strumento elettronico è nettamente preponderante su quelli – ove presenti – “tradizionali”. Anche perché è questo il caso di Mike Milosh, essendo, salvo altrui sporadici interventi, il factotum di questo suo debut album.
Fenomeno dell’assemblaggio “do it yourself” o ennesimo beneficiario della rivoluzione digitale che consente – potenzialmente a tutti coloro nati artisticamente sotto il segno di questa – di dare un senso compiuto alla propria sensibilità musicale all’interno delle mura domestiche? Il dilemma è arduo, e a meno di non voler fare paragoni forse inopportuni col versante “non elettronico”, riguarda ormai così tanti che è meglio concentrarsi sul contenuto in sé di un prodotto.
Milosh ha innanzitutto il pregio di insinuarsi nel poco spazio creativo che sembra essere stato lasciato dai “filoni” oggetto di smodato sfruttamento. In quelle che sembrano le “solite” distese ambient appena ondulate e nevroticamente costellate di bleeps timidamente liquidi sboccia, come un fiore nell’oscurità, la voce soffusa del musicista canadese, sorta di spiffero di ottimismo su un panorama introspettivo e spesso cupo. Ma non c’è contrasto, anzi, l’afflato soul è un’interpretazione del sound sottostante decisamente più coerente di molte altre già sentite, a conferma di come la luce abbia bisogno del buio intorno, e non di altra luce, per splendere.
“You Make Me Feel” è appunto la voce della speranza che emerge dalle paludi del pessimismo e della malinconia. E’ un brano come ‘Simple People’, che realizza più di altri la simbiosi tra l’algida e aurale spazialità dei suoni e la concretezza della voce, quella di Milosh, così calda e terrena benchè onirica e lontana. E’ la via delicata e romantica ma non leziosa, in un certo senso “umana”, che l’elettronica può intraprendere in mezzo a tanti mutanti de-animati. E’ l’insieme delle sfumature e dei mood di cui sopra che la componente digitale deve saper apportare alla musica perché questa possa non essere semplice riproduzione a uso e consumo, indiscriminatamente, di tutti.
Autore: Bob Villani