Potrebbero anche farcela, i Gogol Bordello, là dove i Manonegra fallirono malamente a suo tempo: la conquista degli Stati Uniti d’America. La loro mistura sonora – sorta di “patchanka” degli Urali molto fracassona che qua e là strizza l’occhio ai gusti dei giovani americani – pur essendo meno sbalorditiva di quella proposta 20 anni fa dal vecchio gruppo di Manu Chao, offre ai Gogol Bordello delle chances in più, perchè questi son tempi maturi per il crossover, e l’essersi stabiliti a New York City, lasciando l’Europa, potrebbe avvantagiarli nell’operazione.
Il gruppo, capitanato dall’ucraino Eugene Hutz (baffuto e spilungone saltimbanco dell’Est, attore di cinema, autore di convinte idee proletarie, come del resto i suoi colleghi), è composto anche da due russi, due ucraine, un americano ed un israeliano, e già dal titolo di questo loro terzo disco, “Gipsy Punks”, ci si può fare una buona idea di come suonino queste 15 canzoni in 64 minuti: fisarmonica klezmer, violino tzigano, solide ritmiche punk dell’Est europeo spesso martellato anche con chitarre acustiche (15 anni fa lo chiamavamo riduttivamente “perestroika punk”), richiami massicci a Goran Bregovic/Kochani Orchestar, Les Negresses Vertes, Le Loup Garou e vecchie cose di Adriano Celentano: idolo di tutti i componenti del gruppo, a quanto apprendiamo dal loro sito internet.
Quasi sempre i testi sono in lingua inglese, ed in ‘Underdog World Strike’ Eugene prova persino il cantato hip hop, mentre si attenuano per fortuna certi poco riusciti esperimenti reggae e dub dei dischi precedenti. Scorie di cali-punk, poi, in ‘I Would never Wanna Be Young again’, testi antimperialisti, antiborghesi, contro la guerra (‘Illumination’), che strizzano l’occhio alle periferie urbane in tempi di rivolta nelle “banlieu” francesi; ancora: una ‘Santa Marinella’ piena di esilaranti e pesantissime bestemmie in lingua italiana, ma le cose più riuscite sono quelle in cui si sente di più il sapore popolare, sguaiato, alcolico, balcanico, uralico, veracemente e lamentosamente zingaro o ebraico dell’Est europeo.
E fa bene, Eugene, a cantare qua e là anche nella sua lingua madre che da colore e calore alle canzoni. Il lavoro si regge in buona parte sulla sua voce sfrontata.
Il disco è stato registrato da Steve Albini, che sappiamo si concede soltanto per i lavori in cui crede davvero, e che in ogni caso raramente s’allontana dal noise rock: qui lo fa, e “Gipsy Punks” infatti non sembra disco dei suoi; il produttore si mantiene sobrio nei suoni, dal momento che ad esser sopra le righe ci pensano i musicisti in studio, facendo un gran fracasso con gli strumenti.
Decisamente una scrematura ed una selezione dei pezzi – dunque una minore durata del disco – sarebbero state opportune, ma “Gipsy Punks” piacerà a chi ama i generi qui affrontati. Si tengano alla larga coloro che odiano la confusione, gli eccessi, le birre annacquate e le cafonate varie.
E se tu, proprio tu che stai leggendo, sospetti seriamente di essere lo scemo del villaggio, e sei afflitto da inguaribili manie di persecuzione e complessi d’inferiorità, goditi l’inno memorabile ‘Undestructible’: è tutto per te!!!
Autore: Fausto Turi