Ne è valsa la pena. Davvero. Terzo album dei Distillers (da poco passati alla Warner), “Coral Fang” suona come la loro creatura più potente, amara, dirompente, dissacrante. A partire dalla copertina: ritenuta troppo esplicita e prontamente censurata negli States, è stata sostituita con una cover “sicura”, ma non per questo meno inquietante (sopra tutto, gli occhi rossi dei due procioni in primo piano). In ogni caso cambia la forma, ma la sostanza resta la stessa. Per fortuna. Sin dalla prima traccia, “Drain the blood”, ci si rende conto di avere tra le mani qualcosa di veramente esplosivo, da ascoltare tutto d’un fiato e senza il rischio di annoiarsi. Qualcosa che più punk di così non si poteva desiderare. La voce di Brody Dalle (ex moglie di Tim Armstrong dei Rancid), stupisce al primo attacco, con tonalità graffianti capaci di scuotere ossa e stomaco in modo sorprendente, energia allo stato puro. Una voce di cui si sentiva sinceramente la mancanza (forse dagli anni 80 dei Black Flag), corposa, duttile, spaventosamente bella. E per favore non cadiamo in errore, continuando ad azzardare paragoni fin troppo ovvi e altrettanto riduttivi con Courtney Love…Brody è cresciuta e con lei la sua voce…provate ad ascoltare “Hall of Mirrors” (settima della track list) e impallidite!
“Gallow is god” mette da parte per un istante le sonorità punk-rock delle prime tre tracce, per affacciarsi ad un grunge d’atmosfera angosciante, disperato, in cui Brody fa della sua voce l’uso forse più intenso di tutto l’album. Con “Coral Fang” si torna al punk-hardcore d’apertura: un’esplosione d’angoscia e ferocia che lascia senza respiro, con un bel ritornello orecchiabile, molto più melodico del resto del pezzo. La successiva “The hunger” è una vera sorpresa: intro acustica, a metà del disco, dalla quale sarebbe del tutto lecito aspettarsi un brano più lento e delicato degli altri. Vana speranza. Appena finito il quarto giro di accordi, si capisce che la strofa iniziale è solo un pretesto: un modo, per Brody, di risparmiare energie e concentrarle nell’urlo più dilaniante di tutto il disco. Otto secondi di apnea martellante per poi riprendere di nuovo la strofa iniziale. Anche questo molto grunge. Niente male davvero. E i timpani implorano pietà.
Con le successive tracks si ritorna al punk più puro e bello e frenetico; anche qui melodie niente male, condite come al solito con urla e tonalità aspre, di cui non si fa nemmeno in tempo a sentire la mancanza. Tutte si mantengono comunque al livello delle precedenti, senza abbassare mai la guardia.
Infine, degna di nota è l’ultima (ahimè) delle undici tracce, “Deathsex”: dodici minuti e oltre (!) di speed-punk cui si alternano orge di chitarre alla Sonic Youth; puro noise per un’atmosfera acida e un pò spettrale, quasi la riproduzione in studio di un amplesso con la morte…purificatrice.
Se poi a tutto questo si aggiunge una registrazione coi fiocchi e un favoloso Andy Granelli alla batteria, otteniamo quello che può definirsi a tutti gli effetti come uno dei migliori album punk-rock in circolazione. Non per ripetermi, ma ne è valsa la pena. Davvero. Persino per un non amante del genere, come il sottoscritto. E non è poco.
Autore: Fabio Rennella