I Rollerball continuano nella ricerca e nella sperimentazione sonora. Due caratteristiche, queste, che sono sempre stati gli obiettivi della Wallace, che per la seconda volta pubblica un loro lavoro della sterminata discografia (questo è il loro tredicesimo album, oltre ad una decina di Ep e ad una sterminata serie di compilation). La stessa copertina è emblematica, con quelle uova colorate simbolo sia di estro che di nutrimento dell’anima; metafora assolutamente pertinente, se questa interpretazione è azzeccata, data le profondità e gli intriganti, – e per questo strani – intrecci sonori. Se non conoscete il gruppo di Portland (Oregon) e avete bisogno di sapere qual’è il loro genere, vi do quella di Mirko Spino, factotum della Wallace, secondo cui è una via di mezzo tra future-folk e dark wave. Tuttavia, potremmo aggiungere free jazz, grazie anche alla partecipazione di Jacopo Andreini, e soul alt-folk-conutry (“The sky in L.A.”). Ogni definizione va presa con le molle, dato che sono viscidi come un uovo, sfuggenti e difficilmente prendibili, o meglio, nel momento in cui uno comincia a definire un genere, giunge quello strumento e quel cambio di registro stilistico che ti fa cambiare idea per rimetterti in discussione. Prendiamo per esempio “Ba” che parte come una no wave meno frenetica, con intarsi di free jazz ed suoni di varia natura per poi assestarsi con una base musicale tranquilla. O ancora “Doe dar” con quella tastiera penetrante come un pungolo nello stomaco che non vuole andar via, ma che poi si trasforma in un jazz estremamente tanto libero, quanto greve, con accenni di prog per terminare con un canto evocativo. Spero di avervi fatto comprendere almeno una parte della complessità di questo lavoro.
Autore: Vittorio Lannutti