Era iniziata col “botto” la carriera dei Goldfrapp. Grazie all’etereo fischiettio del brano “Lovely Head”, nel duemila, il nome del gruppo capitanato da Will Gregory e Alison Goldfrapp aveva fatto il giro del mondo (compresa l’Italia, dove il pezzo era il sottofondo di uno spot pubblicitario). Se il conseguente album “Felt Mountain” seguiva le ombrose atmosfere del singolo, i successivi full-lenght “Black Cherry” (2002) e “Supernature” (2005) avevano visto la band orientarsi su di un sound più marcatamente electro-pop. Alle soglie del quarto capitolo della loro discografia per i due si poneva il dubbio su che direzione musicale seguire. Ora che “Seventh Tree” ha visto finalmente la luce appare evidente come la coppia abbia compiuto una parziale marcia indietro rispetto al suo recente passato. L’arpeggio di chitarra acustica ed i susseguenti inserti orchestrali dell’iniziale “Clowns” rendono lampante la contestazione che i nostri volessero tornare ad un sound più organico e, soprattutto, si siano stancati di scrivere canzoni di facile presa. Non che questo abbia comportato il completo abbandono dell’elettronica (anzi…) ma la matrice contemplativa di questi dieci episodi indicano un parziale ritorno alle origini quanto mai azzeccato. Difatti, pur mancando forse quelle due/tre tracce una spanna sopra le altre, la media qualitativa dell’intero album è in vero alta. Prova ne sia che le varie “Happiness”, “Road To Somewhere”, “Some People”, “AandE”, sono una perfetta conferma dell’ottimo stato di salute artistica di cui godono i Goldfrapp.
Autore: LucaMauro Assante