E al terzo tentativo con la sua nuova serie Inspiration information, la Strut fa il colpaccio! L’obiettivo di creare binomi e scambi artistici tra artisti con storie musicali alle spalle diverse tra loro, era senz’altro stato raggiunto felicemente anche nei primi due volumi (Amp Fiddler + Sly & Robbie, Horace Andy + Ashley Beedle), ma se là i risultati si assetavano su una sufficienza molto ampia e niente di più (un po’ didascalico il contributo di Amp Fiddler sulle ritmiche di Sly & Robbie, altalenanti gli esiti per il grande vocalist reggae ed il producer inglese), qua si tocca in scioltezza il massimo dei voti!!
I personaggi coinvolti immagino che già li conosciate, almeno di nome, ma inserisco qualche notazione giusto a titolo riepilogativo. Mulatu Astatke è uno dei grandi padri dell’Ethio-jazz – la corrente sonora nata negli anni Sessanta in Etiopia figlia sia della musica indigena che del soul, del jazz e del funk – un movimento documentato dalla serie “Ethiopiques” (se non sbaglio il capitolo dedicato a Mulatu è il quarto) alla cui riscoperta ha ampiamente contribuito la colonna sonora di “Broken flowers”, dove i tre pezzi di Mulatu voluti da Jim Jarmush costituiscono senz’altro i momenti più caldi; gli Heliocentrics sono invece un collettivo guidato dal batterista e pianista Malcom Catto (già collaboratore di Dj Shadow e Madlib), usciti nel 2007 con “Out there”, un buon lavoro di funk-soul orchestrale e psichedelico per la Now Again/Stones Throw, forse solo appena un po’ ripetitivo sulla distanza complessiva dei suoi 68 minuti.
Beh, l’incontro tra le parti, realizzatosi tra l’8 e il 14 settembre 2008 in un’intensissima settimana di composizione e registrazione nei Quatermass Studios di Londra, è a dir poco favoloso: 14 pezzi strumentali che fondono sassofoni in ebollizione, strumenti a fiato e a corde tipici della tradizione africana (washint, krar, begena), parti di piano avvolte in spirali oniriche (“Phantom of the panther”, splendida creatura alla Pharoah Sanders), tribalismi vocali (“Masengo”), beats rotondi ed incalzanti (“Addis balck widow”, “Live from tigre lounge”), abbracciando l’hard-bop (“Fire in the zoo”), il funk-groove di James Brown (“Mulatu”), l’afflato cosmico di Sun Ra (“Anglo Ethio suite”) e realizzando così il miglior “Mulatu-sound”, vibrante, appassionante, contagioso (“Dewel”)
Volendo citare solo un paio di brano su tutti – impresa assai ardua – direi “Cha cha”, ispirata da composizioni di musica religiosa copta, ed “Esketa dance”, un accecante inno alla gioia per sax e vibrafono.
Autore: Guido Gambacorta