Il 2020 fa toccare quota 14 anni d’attività per la band scaligera dei Thing Mote: un power-quartet che, solo ora, giunge al traguardo del debut-album dopo una manciata di e.p. scaglionati in carriera. “Robokiller” è opera di gran lunga interessante, che (ri)suona come una sirena d’allarme contro il sopravvento della tecnologia che sta invadendo l’ignara umanità convinta, invece, di ritrovarsi tra le mani l’illusorio benessere del perfezionamento sempre più destabilizzante di automi, internet e di tutto ciò che ci sembra futuro. Per somatizzarlo al meglio, “Robokiller” non va consumato in fretta ma centellinato con criterio analizzante, poichè più l’ascolti e maggiori risposte si avranno.
Al bancone di regia c’è Jacopo Gobber, nume illuminante per colorare (con mestiere) il sound dei Thing Mote. La titletrack
annuncia gli ingredienti dell’album con una prima fase semi-nevrotica che presagisce l’alternanza con incursioni grunge, per mettere in guardia sull’imminente processo di sostituzione dell’uomo con i robot per fini bellici. Umore più dark alligna in “Stilness”, quasi a lambire l’oscurità dei Joy Division che banchettano con i Radiohead più frementi. L’andazzo filo-funereo di “Memories” viene spezzato da distorsioni paranoiche che ben testimoniano il dolore di ricordi ossessivi, più o meno reali. Bravissimi nel non dare punti di riferimento, i Thing Mote sezionano “Awake” in quattro parti, in cui il tessuto sonoro viaggia a cavallo tra i Franz Ferdinand e una psico-paranoia, in quanto l’ossessione tecnologica ha, ormai, pervaso l’umanità e per salvarsi occorre re-settare tutto e ricominciare da capo. Quando credi che “Aukland and you” sia un’inevitabile tappa ballad, ecco i Nostri ti spiazzano , invece, a metà strada facendo ruggire chitarre fino alla fine. Se poi l’uomo, talmente coinvolto in rapporti morbosi con i software se ne invaghisce, ci pensa la violenta “Her” a dare lo scossone destante, graffiando su tutta la linea con granulare incidenza. E chi si illude che la robotizzazione sia prossima a venire, si sbaglia di grosso: è già tra noi e “Machine are coming” non ha nessuna intenzione di essere una semplice comparsa ma un’ urgente monito(r) con vista critica ed urticante. Che internet sia ormai preso come l’inopinabile Vangelo dei nostri tempi, al combo ruga non poco sferrando l’invettiva alt-mantrica di “Moax” che coinvoge in un tourbillon asfittico. Ed il commiato (oltre che dall’album), da quel che resta di componente umana, è celebrato con il rito funebre di “Wasteland”, ma la voglia di ribellarsi alla “macchinizzazione” non è mai
sopita, adottando un perenne slancio esorcizzante. Sarà meglio ribadire che, per approcciarsi a “Robokiller”, occorre un pluriascolto ponderato visceralmente, in quanto il nucleo tematico dei Thing Mote non è d’immediata estrazione, ma va stanato con dedizione uditiva, quasi come una sfida, che però vale la pena di affrontare per ridestarci dall’effetto soporifero indotto dalla tecnologia disumanizzante: sempre che abbiate ancora voglia di scrollarvi di dosso quell’apatia invisibile ed incombente che aleggia su di noi: nessuno escluso.
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autore: Max Casali