A due anni di distanza dall’acclamato Tales from the realm of the Queen of Pentacles, è tornata con un nuovo disco una vera e propria icona della musica anni ‘80, la cantautrice Suzanne Vega con un omaggio alla scrittrice americana Carson McCullers, una figura femminile che è da sempre una grande ispirazione per la songwriter newyorkese. Lover, Beloved: Songs From An Evening With Carson McCullers, in uscita per Cooking Vinyl/Edel e a anticipato dal singolo Harper Lee, è una collezione di dieci canzoni scritte da Suzanne Vega con la collaborazione di Duncan Sheik, che cercano di catturare l’essenza della scrittrice Carson McCullers.
“Sento che le idee di McCullers sono molto moderne e che lei le incarna in un modo che altri autori non riescono a fare. Ha cercato di viverle e ha pagato un prezzo per questo”, afferma l’ormai matura e consapevole Suzanne.
La scrittrice (“Semmai volessi recitare un personaggio nel futuro, sarebbe sicuramente lei” dice Suzanne) è raccontata nel disco nel periodo del suo crescere nell’America del Sud negli anni venti, nel pieno del razzismo sudista, e poi del suo arrivo a New York negli anni ’30, fino al 1941, anno della pubblicazione di The Heart Is A Lonely Hunter, che la portò alla fama.
Sono molto lontani i tempi di Luka, e delle altre ballate anni ’80, per cui Suzanne si distingueva, nell’allora variopinto e dorato mondo del pop elettronico, per la sua musica semplice, folk, e molto poco pop, eppure con la sua sincerità Suzanne era riuscita a farsi strada e diventare un’icona di genere in quel periodo.
Oggi la cantautrice appare molto diversa: non più adolescente e timida (erano i tempi in cui Suzanne era appunto lettrice appassionata di McCullers), oggi la Vega è una donna matura, piena, consapevole di sé, elegante e raffinata, e questa sua eleganza raffinata la porta direttamente dentro il disco, che abbandona il tanto amato folk-pop per abbracciare a piene mani lo swing.
Batteria e contrabbasso sono infatti le armi portanti di tutti i pezzi, salvo We of Me e Annemarie, per i quali Suzanne ritorna ai vecchi tempi delle ballate acustiche. Per il resto il disco è puro swing e soul, di squisita fattura, con trombone e clarinetto a ricamare ciò che contrabbasso e batteria swing definiscono, dove la voce di Suzanne, senza strafare, racconta più che cantare, in un modo sempre divertito e scanzonato, anche quando i temi sono tristi.
Leggere, allegre, briose, sono le arie di New York is My Destination, o 12 Mortal Men, o del singolo Harper Lee, mentre un po’ più malinconiche sono Carson’s Blues e Carson’s Last Supper, che già dal titolo citano e richiamano direttamente la scrittrice musa ispiratrice di questo disco.
Diversa nel disco rispetto alla musica che la rese famosa, Suzanne appare diversa anche nel look e nello stile: una donna matura, bellissima, e pronta a fare la musica che vuole, senza compromessi con il mainstream, che pure ha incrociato per un breve periodo.
Quando la musica è ancora, nonostante tutto, divertimento e arte.
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autore: Francesco Postiglione