Provate voi a mettere insieme chiazze stilistiche tipo verve ciarliera, indie folk e una impenitente poetica leggiadramente psicotropa e “femmina” sulle orme di una sbarazzina Ani DiFranco, Dream dream e Angel su tutte, Victoria Williams, Bajaga (per tirarne in ballo alcune) e la forma compiuta di un bel disco va a pregiare l’impianto stereo di casa, un qualcosa che fa “ascolto pieno” in pochissimi laps.
Siamo al quarto disco di Karla Hajman, in arte Stereochemistry, artista trasversale che ha fatto gridare – nell’underground internazionale- quasi al miracolo e che con questo Ruins in bloom – quarto disco di carriera – va a ratificare l’originalità della sua proposta con dodici tracce corrispondenti ad uno slancio creativo non indifferente, dove l’artista, originaria di Belgrado, vi riversa dentro visioni e parole, idee ed intimità, religione, vita e quel (ri)prendersi di tratteggi autoironici che ora come ora latitano nelle musica “altra” quasi a nascondere verità vere ma scomode.
Una dozzina di brani che Stereochemistry gestisce su di una rotta beatamente da “intrattenitrice”, una performance ora goliarda (Cookie jar, Sailorman, The bravest man I know), ora screziata di folkly storto (Home to me) o con la postura “teen angelica” che fa clap clap nella fumigante Dorian, un disco che passa tutt’altro che inosservato, abbondantemente innaffiato di quella dolce carica “stramba” che sembra incapace di prendersi veramente sul serio, ma che tuttavia va ad arricchire il gran traffico indie (quello buono) di questo ancora “vergine” 2015.
https://www.facebook.com/stereochemistry
http://stereochemistrymusic.com/
autore: Max Sannella